sabato 10 novembre 2012

 

Teilhard, l’irresistibile moto che riunirà il mondo

Fabio Mantovani
 
In una sua bellissima poesia Garcia Lorca narra la sofferenza di una formica che, dopo essere riuscita a vedere le stelle dalla cima dell’albero più alto, non è in grado di far capire alle compagne quelle nuove realtà.  Le descrive come “migliaia di occhi nelle tenebre” e come “luci che portiamo sulla nostra testa”.  Inutile: le formiche non la comprendono, la maltrattano, la feriscono. Cio nonostante lei non la smetteva di ripetere: “Si, ho visto le stelle”.  
 
 
Anche Teilhard de Chardin ha incontrato serie difficoltà nel far capire ciò che aveva visto.
Il linguaggio, il dire, è una modalità di rappresentazione lineare che mal si presta a descrivere delle “totalità”.  Per esempio non sapremmo come trasmettere esattamente l’immagine di un quadro di Degas, che invece potrebbe essere colta, in un istante, con un semplice sguardo.  Ancora più ardua, si capisce, è la descrizione di realtà che oltrepassano la gamma o la portata dell’occhio umano  e sono soltanto afferrabili mediante uno sforzo  dell’intelletto o con l’intuizione, anche questa istantanea.
Ebbene, a quarant’anni falla morte di Teilhard de Chardin – si spense a New York il 10 aprile 1955 – ci chiediamo: ma che cosa ha egli precisamente visto?
Pochi giorni prima della sua morte, egli scrisse ne Il Cristico: “ Per quale motivo, guardando attorno a me ed ancora tutto inebriato di ciò che mi è apparso, io sono quasi solo nella mia specie?  Solo ad aver visto?”  Oggi siamo in grado di rispondere: per di più di un motivo.  I suoi scritti – editi postumi, non nell’ordine cronologico in cui furono redatti, non tutti rivisti dall’autore, nella speranza di pubblicarli – suscitarono fra gli anni ’60  e ’70 entusiasmi, curiosità e interessi di vario tipo.  Si formò una folla eterogenea in gran parte di “sognatori” ammaliati soprattutto dal linguaggio poetico di Teilhard e dalla sua vaticinante prospettiva di un irreversibile moto verso l’unificazione del Mondo, verso una nuova Umanità: un’atmosfera un po’ confusa, ricca di speranze e di attese.  Accadde quel che Teilhard temeva, ossia che la sua visione, colta superficialmente da persone ancora impreparate, potesse divenire una sorta di “nuova religione” con cui rimpiazzare il Cristianesimo tradizionale (vedi lettera a L.Swan del 25 gennaio 1937).  E’ ovvio che tutto questo non poteva non avere riflessi negativi sull’iniziale accoglienza della Chiesa
C’è però qualcosa di più sostanzioso nelle stroncatura del pensiero di Teilhard da parte di taluni autorevoli teologi e filosofi:  l’aver forse preso per essenziali delle prospettive che per lui costituivano soltanto possibili deduzioni da una semplice e illuminante realtà sperimentale.  Medesimo spostamento di “oggetto” che si è verificato nei confronti di Darwin e di Freud.  Infatti, demolendo in tutto o in parte le loro “teorie” (darwinismo e psicanalisi) si cade spesso nel rischio di non vedere la luce gettata sulla nostra realtà dalle loro scoperte: l’Uomo, in quanto specie, deve essere pensato in modo radicalmente diverso dopo Darwin, così come la psiche dell’Uomo risulta, per contenuti e dinamiche, molto più complessa e problematica dopo Freud.
Di Teilhard,  la critica può benissimo sostenere che sono inaccettabili molte sue riflessioni, ma dovrebbe sentirsi vincolata a modificarle o a sostituirle con altre che siano coerenti con i risultati dell’osservazione scientifica.  D’altronde,  Teilhard ha sempre considerato le sue idee come dei tentativi, delle proposte da discutere e non come sintesi definitive (“altri facciano meglio di me”).  La realtà che Teilhard vede non è quella racchiusa entro un campo di un telescopio ma è l’intero cielo senza limiti di spazio-temporali.  Il moto evolutivo, lo si vede,  purchè non si chiudano gli occhi, va irresistibilmente verso la nebulosa originario dell’Uomo.  Questi ne è attraversato assialmente, per il fatto di esserne l’elemento cosciente e ha la responsabilità di prolungarlo “in avanti e in alto” divenendo più umano, spiritualizzandosi.
Avviene ancora di intravvedere tutto ciò come un’ombra indefinita, priva di conseguenze concrete.  Ma accade anche, dopo Teilhard, che l’Universo sia visto in modo concettualmente e spiritualmente armonioso.  La visione di Teilhard è incoraggiante: consente di vedere la nostra vita intessuta nella stoffa e nel respiro del Cosmo; risponde al bisogno di ogni uomo – redente o non credente – di scorgere coerenza e senso nella struttura e nella dinamica dell’Universo; offre alla persona di fede delle forti ragioni per sostenerla, a fronte di un sapere  riduzioni stico e incapace di grandi sintesi, quando invece occorre “emergere per vedere chiaro”;  è un inno dell’Universo, in Cosmogenesi, che magnifica ancora di più il Creatore.
Lo studio delle opere di Teilhard de Chardin dovrebbe perciò essere ripreso, lasciando da parte i pregiudizi frettolosamente  formulati su di lui senza forse conoscerlo a fondo.   Si consideri il fatto significativo che gli scritti teologici (La mia Fede) e la sintesi del suo pensiero (Il Cuore della Materia) sono apparsi in traduzione italiana soltanto nel 1968.  Nel quarantesimo della sua morte, la riedizione de Il Fenomeno umano – opera fondamentale, insieme all’Ambiente Divino -  onora la memoria di Teilhard de Chardin.  Ma onora altresì la cultura in senso lato, la “grande” cultura, volta a illuminare il cammino dell’Uomo.

da “ Avvenire, 9 aprile 1995”











 

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