sabato 29 dicembre 2012

 Une photo surprise
Depuis un an, j'ai le bonheur de participer aux rencontres des "Amis de Teilhard" qui étudient son oeuvre.
Dans un livre qui lui est consacré, Nency a trouvé cette étonnante photo de Teilhard au milieu de soldats.       La légende de cette photo dit :      "A Troyon, en 1917 (Teilhard au fond et à droite)"
Troyon, village cité dans sa lettre, par Catherine de Laage (notre grand-mère) pour localiser son mari, le capitaine André Gauly,  en novembre 1914.   Troyon dont j'ai trouvé une carte militaire de 1916, traçant les tranchées allemandes et françaises. Troyon, sous le Chemin des Dames de sinistre mémoire, où Teilhard a eu sa première intuition de l'énergie humaine, de la noosphère, de cette masse d'échanges d'intelligence, de pensées, d'émotions entre les humains, ...
Teilhard de Chardin à Troyon, ... dans les pas d'André Gauly, notre grand-père !     Etonnant, Non?
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© 2012


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                     Tito Arecchi 


   Intuizioni creative di Teilhard




Il mio primo  incontro con  Teilhard de Chardin risale al 1961,quando, ricercatore all’Università di Stanford, leggevo la traduzione inglese del “Fenomeno umano”, coll’introduzione di Julian  Huxley.  Il libro mi era stato suggerito da un collega cristiano non cattolico, che “scopriva” come nel cattolicesimo ci fossero fermenti culturali da lui insospettati. .Poco dopo il teologo cattolico di Stanfors, Fr. Frank Norris, mi regalava “ Ther divine milieu”, l’edizione inglese dell’”ambiente divino”.
Confesso che trovai il primo dei due libri ostico,per la sue sintesi che ritenevo ingiustificate, eretiche per il protocollo usuale della scienza nel cui ambito operavo.  Il secondo mi apriva una prospettiva stupenda: dava un senso non  egoistico al mio mestiere di ricercatore.  Mi ero sempre domandato se, rispetto a un medico o ad uno impegnato in altri servizi sociali, io fossi solo un egoista preoccupato (allora)  a risolvere problemi conoscitivi senza un risvolto utile per gli altri.  Orbene, Teilhard de Chardin indicava come una pura scoperta conoscitiva, priva di apparente utilità, fosse un contributo alla Redenzione, una crescita  del Corpo di Cristo, in quanto aumento di consapevolezza nella sua chiesa.  Per anni mi sono trovato con questo dilemma:  sul piano conoscitivo Teilhard de Chardin era eterodosso sia per la scienza sia per la teologia corrente, sul piano mistico,presentava una prospettiva in linea con Paolo ed Agostino carica di stimoli spirituali, ma apparentemente non conciliabile con i modi di operare della scienza.
Oggi, a 20 anni di distanza, la mia opinione è molto diversa, e molte delle intuizioni di Teilhard de Chardin non sono più per me divagazioni poetiche, ma indicazioni euristiche per un nuovo modo di procedere anche nella scienza.
Con Galileo la scienza si inseriva in una visione tradizionale della realtà con un programma riduttivo di non puntare alle “sostanze” ma alle  “affezioni”, cioè ai fenomeni quali isolati da opportuni strumenti di misura.  Con ciò, le scienze della natura si ponevano come autonome rispetto all’indagine metafisica ma non in contrapposizione, senza alcuna pretesa di interpretazione esclusiva del reale.
Schizofrenia, tuttora non risolta, comincia  con Cartesio, col postulare due sostanze separate, “res cogitans” e “rex exstensa”, due ordini di realtà fra i quali è difficile instaurare punti di contatto.  La scienza si è  costituita come descrizione delle relazioni di contatto in corpi estesi, quindi come una geometria dello spazio-tempo, e – forte dei suoi successi – è arrivata alla pretesa di ritenere irrilevante, privo di valore conoscitivo, ogni enunciato non esprimibile col proprio protocollo.
Negli ultimi decenni  stiamo vivendo una profonda crisi nella scienza, sia nel linguaggio, sia nei suoi contenuti.  Come linguaggio i teoremi di Godel e le analisi di Popper hanno distrutto la pretesa scientista di erigere il linguaggio scientifico ad unica descrizione rilevante del reale.
Come contenuti accenno a due grandi svolte.  La prima riguarda l’esistenza o meno delle particelle elementari.  La materia comincia ad apparire indefinitamente divisibile, ritorna attuale l’obbiezione di  Leibniz sull’estensione.  La seconda, in cui io sono coinvolto come fisico, riguarda  l’insufficienza del modello cartesiano-newtonniano in un universo geometrizzabile nello spazio-tempo, con regole di simmetria che implicano fra l’altro l’invarianza dei fenomeni per inversione temporale.  Il concetto della “freccia del tempo” era stato già introdotto in discesa (cioè nell’irreversibile aumento d’entropia dei sistemi chiusi) di Boltzmann e di Eddimgton.  Lo stesso processo unilaterale, cioè non invertibile, del tempo scandisce in salita passaggi successivi:
                             caos         ordine                complessità
quali osservati in sistemi aperti (vedasi la descrizione dettagliata nella mia monografia:”Caos,ordine e tempo nella fisica di oggi”, prolusione all’A.A. 80/81 dell’Università di Firenze)
Orbene, anticipando di 60 anni queste indagini di laboratorio, e col supporto dei soli dati paleontologici, Teilhard de Chardin aveva introdotto la complessificazione come evoluzione verso forme sempre più organizzate, fino ad arrivare alla coscienza.
I fanatici dell’inferenza induttiva trovarono arbitraria, non scientifica, questa intuizione.  Io credo invece, per esperienza personale, che la scienza progredisca per intuizioni creative, per audaci ipotesi che vanno poi verificate nelle loro conseguenze.  Anche se la formulazione di Teilhard de Chardin era preliminare, senz’altro egli ha anticipato temi di ricerca oggi attualissimi.
Una rilettura della complessificazione alla luce dell’attuale fisica dei sistemi aperti riporta dunque dal piano poetico all’attenzione scientifica, l’opera di Teilhard de Chardin.
Devo confessare di non essere “teilhardiano” nel senso che non leggo la (dei solito logorroica) letteratura interpretativa di Teilhard de Chardin:  Ricordo di aver orecchiato fra le varie critiche quella di panteismo.
Qui parlo fuori del mio mestiere, quindi sono disponibile per qualunque precisazione: 
Mi pare però che in Teilhard de Chardin non si perda mai il senso personale del Dio-Padre (di Abramo, non dei filosofi), e il Cristo in cui si riassume il creato al vertice evolutivo è il Verbo personale, non un vago principio impersonale che permea il mondo.
C’è un altro discorso da fare: la Provvidenza.
C’è un posto nella scienza per le cause finali?  La struttura delle nostre equazioni differenziali dà soluzioni  che dipendono solo dalle condizioni iniziali.  Ma le equazioni differenziali non lineari che descrivono sistemi aperti non ammettono soluzione unica.  Chi fa la scelta?  Nell’ambito della scienza, diciamo che fra una molteplicità di possibili scelte, prevale quella che meglio si armonizza coll’ambiente (in taluni darwiniano, si fissa solo la mutazione che meglio si adatta).
Ma esiste una lettura extra scientifica che interpreti i dati senza contrastare colla interpretazione scientifica?  E, se esiste, è rilevante (cioè integra utilmente  il punto di vista scientifico9?
Dio nella Genesi dà ad Adamo il compito di dare un nome alle cose, cioè di fare scienza.  Questo programma sarebbe stato anche comprensibile colla deterministica “armonia prestabilita” che esclude ulteriori interventi di Dio nel corso degli eventi.  Ma tutta la Bibbia (ad es. il libro di Giobbe) parla di interventi di Dio e questi sono sempre misteriosi (non si accenna al riguardo a ricette conoscitive).  E’ ciò un segno che le cause finali non ricadranno mai nell’ambito della scienza?
Si può riproporre, come vuole Teilhard de Chardin, una sintesi che in definitiva chiuderebbe il dualismo cartesiano riportandoci all’unità della filosofia medioevale, ma nel rispetto della scienza galileiana?
E’ questo forse il più grosso problema lasciato aperto da Teilhard de Chardin.


TITO ARECCHI
Professore di Fisica, Università di Firenze
 Responsabile Scientifico dell’ Istituto Nazionale di Ottica Applicata (INOA)

 
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1965:il primo convegno su Teilhard de Chardin in Italia

 

Nel 1965, in piena contestazione, da parte di molti teologi cattolici,  del pensiero e dell’opera di Pierre Teilhard de Chardin, si tenne a Milano un bellissimo e interessantissimo comvegno sull’opera  “Le Milieu Divin” organizzato dal Centro di Studi e Documentazione “Teilhard de Chardin” di Milano.  Al convegno parteciparono intellettuali francesi  e belgi insieme a molti italiani provenienti anche da Università Cattoliche.

Lo scopo del convegno era quello di approfondire  il pensiero spirituale di  Teilhard de Chardin.  L’opera “Le Milieu Divin “ stava per essere tradotta in italiano ed era perciò opportuno approfondire questo strumento di spiritualità teilhardiana.
Il convegno suscitò grande interesse e gli atti furono pubblicati dal Centro di Studi nell’ormai introvabile volume: “Il Messaggio Spirituale di Teilhard de Chardin”
Su questo blog non possiamo pubblicare tutti gli atti, ma per farvi cosa gradita il Centro di Documentazione Teilhard de Chardin di Roma (vedi messaggio n.3)  mi ha fornito copia del discorso finale pronunciato da Padre Davide Maria Turoldo OSM che qui vi ripropongo.

NIENTE MITI
Il mio compito è solo quello di intervenire; dunque nulla più di un intervento, anche se sono in grave difficoltà per le troppe cose che mi urgono dentro.  E il mio sarà molto semplice, come si conviene  a me che vengo dai campi e dalle vigne.  E però questa è una condizione che può sapere di privilegio per intendere Teilhard de Chardin e poi dirmi subito un suo amico naturale, di lui che ha amato la terra come una creatura viva.
Sono state dette molte cose e bene in questi due giorni di nobilissimo simposio teilhardiano.  Avete sentito parlare de “Le milieu divin” come atmosfera, mediazione e centro. E il centro è l’azione creatrice.  E si è parlato dell’azione come dell’attuazione di tutte le possibilità umane.  Avete sentito che non esiste il “profano”; un pensiero questo che rimanda subito ai  due verbi in riassunto dell’opera di Cristo rispetto alla creazione: “non minuit sed sacravit”.
Si è parlato del rapporto tra religione e scienza; tra spiritualità cristiana e spiritualità moderna. Si è parlato dell’accordo tra  la fede e il mondo della fede.  Ed erano tutti discorsi necessari.  Ma a me, al punto in cui siamo, oltre il pensiero di Teilhard, m’interessa l’uomo.  E non tanto per rifarvi la vita quanto per dirvi le impressioni suscitate nel mio animo dalla lettura delle sue opere, in particolare dalla meditazione di “Le milieu divin”, l’opera da considerare la più provvidenziale per ogni genere di cultura, anzi per la cultura tout-court.
Infatti, al termine della lettura il primo moto del mio animo è stato quello di ringraziare Dio che sia esistito Teilhard de Chardin; e che abbia scritto quei  libri e questo libro.  Ho sentito che Teilhard è tutto vero anche se non è tutto svolto.  Ho visto che è un uomo in continua modificazione di se stesso; e che  la sua non è una dottrina statica, ma in movimento; e  che per capirla bisogna  mettersi dentro lo stesso movimento di Teilhard.  Teilhard de Chardin è un creatore sincero ed umile di tutta verità, sia pure sempre attraverso il dettaglio, un dettaglio mai staccato dall’insieme-
Tuttavia capisco anche il monito del S.Uffizio, perche la Weltanschaung teilhardiana è troppo  seducente e presuppone troppa conoscenza; anzi presuppone tutta la conoscenza teologale, come era naturale che avvenisse sia perché sacerdote di integra fede sia perché scienziato altrettanto  onesto e integro da non barare mai al gioco e di non prevaricare in favore di nessuna parte, tanto meno di proclamare la vittoria del dettaglio sull’insieme, dell’ipotesi  sull’asserto.
Posso anche accettare la famosa  riserva “Teilhard si, il teilhardismo no”.  E a ciò aderisco come a un invito a non vivere più parassitariamente sulle spalle di nessuno.  Perché nessun uomo può comprendere tutta la realtà ed esaudire tutta la verità; perché la verità ci trascende sempre, e tutto e tutti.  Diversamente si rischierebbe di codificare ciò che non è codificabile; cioè si verrebbe a determinare un immobilismo dentro la concezione più dinamica che io conosca, che è appunto la concezione teilhardiana dello spirito e del mondo.  Non vorrei che succedesse quello che è successo al tomismo per esempio, o almeno a un certo tomismo finito in una dannosissima sterilità.
Il primo monito di Teilhard è quello di andare oltre Teilhard; cioè l’invito a studiare e ad andare avanti.  Ad esempio sono parole di Teiklhard queste:” il punto Omega non è raggiunto che per estrapolazione: esso resta di natura congettuale; si presenta alla nostra mente con tratti vaghi e vaporosi”.  Cioè Teilhard è sempre aperto anche con se stesso.  E tiene aperta la porta alla stessa Cristologia e alla imprevedibilità dell’uomo.  Egli è consapevole che l’oggi di Dio non può coincidere con nessun tempo della creazione; donde la verità del “ non est vestrum nosse tempora neque  momenta”; donde la sua “cogitatio  fidei” che diventa il tutto senza pretendere di concludere.
La sua opera non è una sintesi; quindi niente miti.  La sua grande scoperta consiste nel fornirci un mondo nuovo, una via nuova di accesso all’essere di Dio e all’essere del mondo.  Egli è il creatore di un nuovo linguaggio, di una nuova espressione dell’uomo sullo spazio di Dio  e sulla storia del mondo.
Si sente inoltre che Teilhard de Chardin è impegnato non tanto sul piano dell’accettazione quanto sul piano della creazione e perciò la sua personalissima interpretazione della parusia e il suo concetto di speranza, molto diverso ad esempio dal concetto di speranza di Peguy, di Simone Weil, di Bernanos e di altri.
Se ci fosse tempo e spazio (e il mio non fosse un intervento) parlerei di Teilhard de Chardin come di un profeta e di un interlocutore tra il mondo  di Dio e il mondo dell’uomo, e poi mi piacerebbe definire quanto di giovanneo (del modo di sentire alla Giovanni XXIII  intendo) c’è nella vita e nel sentire di Teeilhard de Chardin.
Per il suo spirito profetico basta che rileggiamo insieme queste parole conclusive del “Milieu divin”:
“Allora abbiamo lasciato assopire il fuoco nei nostri cuori addormentati.  Senza dubbio, con maggiore o minore angoscia, ognuno di noi vede avvicinarsi la morte individuale.  Senza dubbio, inoltre, noi preghiamo, e ci comportiamo coscienziosamente, … perché avvenga il Regno di Dio..Ma in realtà  quanti di noi trasaliscono realmente, in fondo al cuore, di fronte alla speranza folle di una rifusione della nostra terra?  Chi sono quelli che navigano in mezzo alla nostra notte, rivolti alle prime luci di un Oriente reale?  Qual è il cristiano nel quale la nostalgia del Cristo riesce non dico a sommergere (come dovrebbe), ma soltanto ad equilibrare le cure dell’amore e degli interessi umani?  Qual è il cattolico così appassionatamente votato – per convinzione e non per convenzione – a diffondere le speranze dell’Incarnazione, come molti umanitari sogni di una Città nuova? Continuiamo a dire che vogliamo nell’aspettativa del Maestro.  Ma, in realtà, se vogliamo essere sincersi, siamo costretti a confessare che non aspettiamo più niente.  Bisogna, a qualunque costo rinnovare in noi stessi il desiderio e la speranza del Grande Evento.
Guardiamo la Terra intorno a noi.  Cosa succede sotto i nostri occhi, nella massa dei popoli?  Da dove vengono quelle disordine nella Società, quell’agitazione inquieta, quelle onde che si gonfiano, quelle correnti che circolano e si riuniscono, quelle spinte contrarie, formidabili e nuove?  L’Umanità, visibilmente, attraversa una crisi  di crescita.  Acquista oscuramente coscienza di quello che le manca, e di quello che può.  Davanti a lei l’Universo diventa luminoso come l’orizzonte dal quale sta per spuntare il Sole.  L’Umnaità ha il presentimento, dunque, e  aspetta..
Per desiderare la Parusia, non dobbiamo fare altro che lasciar battere dentro di noi, cristianizzandolo, il cuore stesso della terra.  Perché dunque, uomini di poca fede tenere o storcere la bocca davanti al rpgresso del mondo?  Perché moltiplicare imprudentemente le profezie e le difese::: Non andate…non tentate …, tutto è sconosciuto: la Terra è vuota e vecchia, non c’è più niente da trovare…Tentare tutto per il Cristo! Sperare tutto per il Cristo! Nihil intentatum!  Ecco proprio all’opposto, il vero atteggiamento del cristiano.  Divinizzare, non è distruggere: ma super creare.  Non  sapremo mai tutto quello che l’Incarnazione  aspetta ancora   dalle potenze del Mondo.  Non spereremo mai abbastanza per l’unità umana e nell’unità umana, in continuo progresso.”
Importante notare che nella spinta profetica non contano tanto ilimiti quanto la stessa spinta, lo spirito d’attesa appunto.
Come uomo del dialogo con Dio e il mondo dobbiamo dire che teilhard de Chardin è prima di tutto un uomo che ascolta.  Ascolta Dio e l’uomo.  Egli crede nei suoi interlocutori, li stima, li ama e prima di parlare cerca di sentire in se stesso tutto quello che hanno da dire.
In  fatto  di  messaggio direi che Teilhard, più che per la interpretazione evoluzionistica del mondo, è importante per i mutamenti delle coscienze che proclama e mette in rilievo quali basi continuamente mobili del sapere; più che se egli si movesse su una nave nella scia della più grande nave che è il mondo.
E in quanto ai suoi molti aspetti giovannei basti pensare al modo in cui è vissuto, al modo in cui ha sofferto e obbedito; e alla speranza e alla gioia che hanno saputo l’uno e l’altro – cioè Teilhard e papa Giovanni – donare al mondo; e alle strane date delle loro morti, perché l’uno muore a Pasqua (come desiderava) e l’altro a Pentecoste.
Per l’opera dell’uno e dell’altro e per le possibilità offerte dalle loro vite e dai loro insegnamenti, mi piace riportare qui il pensiero di uno scrittore italiano,perché mi sembra adatto a concludere.
“ L’uomo d’oggi vive in una concezione tale dell’universo fisico e della società umana, che non possono più essere validi per lui gli  argomenti destinati a condurre alla fede che apparvero efficaci per altre generazioni.  Non direi che questa concezione renda di per sé più difficile aderire  ad un credo religioso, ad una morale di amore e di rinuncia.  All’opposto mi sembra che la scienza di fronte alle oscurità che ha dissipato, abbia fatto scorgere profondità così grandiose, abissi di spazio e di tempo, valore relativo di quelli che sembravano i pilastri della nostra conoscenza, da indurre ciascuno  a piegare le ginocchia.
Se la religione si nutre del mistero, se le è propria l’umiltà degli uomini, direi che l’uomo del nostro tempo debba sentirsi infinitamente più piccolo, più conscio della complessità di quell’universo in cui la scienza gli ha consentito di gettare lo sguardo, che non si sentisse l0uomo del tempo di Galileo.  E direi anche che se oggi gli uomini si possono odiare, possono pure avere vaneggiamenti, pensare di adoperare gli strumenti che la scienza ha posto nello loro mani per distruggere intere razze, hanno tuttavia presente come non mai la realtà (che occorre accettare, piaccia o non piaccia) di formare una unica famiglia, di avere una solidarietà di destini (A:C:Jemolo)
Ecco perché nelle pagine di Teilhard de Chardin mi trovo come nel muo elemento.  E se dunque anche per voi è così, soprattutto è così per il giovane mondo, allora c’è davvero da sperare bene; e anzi, che non si spera mai abbastanza.
Padre DAVID M. TUROLDO  O.S.M.
In AA:VV. Il messaggio spirituale dfi Teilhard de Chardin
Centro Italiano di  Studi Teilhardiani , Milano, Torino, Firenze, 1965



















mercoledì 12 dicembre 2012

 Virgilio  Melchiorre
 
Riflessioni sul significato del male in Teilhard de Chardin                         
Nel discorso di Teilhard non è sempre facile distinguere livelli ed ambiti: questo è il punto che agita la nostra coscienza critica.  Ed è bene: la ricerca del rigore, la qualificazione di un processo in una prospettiva definita - scientifica, filosofica, teologica che sia - sono esigenze inderogabili nell'itinerario veritativo.  Ciò non toglie che anche un'altra disposizione sia legittima e doverosa nella lettura di una grande opera, soprattutto ove la ricchezza e la violenza del pensiero avvertono che nella profondità gli ambiti si sono confrontati e distinti, e che da quella profondità si è tentata, senza per altro volerla concludere, una nuova sintesi ed una nuova armonia.  Andranno, allora, individuati i sostegni impliciti, i centri nascosti d'intelligenza, e di là andranno chiariti i discorsi più ampi, più distesi, più complessi, talora più avventurosi della superficie.
      Tanto valga anche per la riflessione sul male che, con passione ed umiltà, Teilhard conduce ne Le Milieu divin. Ricordiamolo subito, il problema del male resta una spina Indelebile ed eterogenea nel cuore della ragione, giacchè il male è appunto antiragione, caduta della ragione, irrazionalità: ciò per cui la ragione non ha, in definitiva, strumenti di comprensione.  In tal senso diceva Kierkegaard, « l'incomprensibilità del peccato non deriva da una conoscenza limitata, di modo che noi a furia di speculare arriveremmo a comprenderlo. No, l'incomprensibilità costituisce proprio l'essenza del male » (1). L'intelligenza assoluta del male è, dunque, una tentazione da evitare: il suo risultato potrebbe essere solo una contraddittoria riduzione del negativo nel positivo, dell'irrazionale nel razionale, come accade alla teoresi idealistica. Eppure ogni uomo deve misurarsi con questa tentazione, deve toccarne il limite.
     Teilhard de Chardin fece appunto così: sino al limite, ma non oltre il limite. In un punto de Le Milieu divin (2) ci sentiamo vicini alla contraddizione di ogni emanatismo: il parteciparsi di Dio, vi si dice, è graduale, progressivo e perciò deve implicare l'imperfezione, il disordine. Il male va, dunque, inteso come un momento necessario e solo apparentemente negativo nella storia dell'essere? In realtà il discorso di Teilhard è più complesso e più sfumato, nè pretende l'assoluta comprensione di un problema che, « per i nostri spiriti e per i nostri cuori, resterà sempre uno dei misteri più conturbanti dell'Universo ». A ben vedere, ciò che Teilhard intende non è la deduzione del male, ma solo la sua condizione ontologica: condizione necessaria, ma non sufficiente.  In un ambito limitato, parziale, diveniente, qual è quello del mondo, il male non è una necessità, è però una possibilità fondata: riferito all'assoluto ed alla stessa « organizzazione totale del Mondo » il male diventerebbe, in- fatti, impossibile.  Esso va, dunque, inteso solo come « rischio » della finitezza e, se Teilhard considera questo rischio, questa possibilità, come inevitabili, lo fa non in senso ontologico, ma a posteriori, costatando la realtà storica, ponendosi da un « punto di vista statistico ». (3).
Non è, tuttavia, su questo che vogliamo fermare la nostra attenzione: per farlo occorrerebbe più spazio e soprattutto  una più approfondita collocazione del problema nell'intera opera di Teilhard.  Ciò che qui vorrei sottolineare è solo un momento, forse il più profondo, il più metafisica nella meditazione de Le Milieu divin: ed è quel muoversi di Teilhard alla positività futura, che ogni limite può disvelare: anche dove la nostra saggezza più è sconcertata, anche di fronte alla suprema negatività della morte - è scritto ne Le Milieu divin - l'uomo potrà aprirsi ad un « nuovo dominio di possibilità » (4).  Ed è qui che ci corre l'onere di rintracciare il, punto implicito di chiarezza fondativa.
In un passo de La messe sur le monde leggiamo queste parole: « Noi siamo dominati dall'illusione tenace che il Fuoco, questo principio dell'essere, nasca dalla profondità della terra e che la sua fiamma si accenda progressivamente lungo tutta la brillante scia della Vita.  Voi, o Signore, mi avete fatto la grazia di comprendere che questa visione era falsa e che, per scorgervi, dovevo rovesciarla... All'inizio, non v'era il freddo e non v'erano le tenebre; era il Fuoco.  Ecco la Verità » (5).  Mi sembra che qui ritorni un antico, fondamentale presupposto metafisico e che ne nasca una sicura conclusione.  La coscienza del male, il rilievo del limite o la indicazione dell'irrazionale, non sarebbero possibili senza una misura e senza un confronto: il non essere è scoperto con l'essere, il freddo e la tenebra col Fuoco.
La coscienza dell'Essere, dell'assoluto è, dunque, il modo originario, il presupposto di ogni giudizio e di ogni sapere.  Di qui consegue poi che la scoperta del negativo è insieme scoperta di un positivo che assolutamente lo abbraccia, o supera, e lo rapporta oltre di sè: l'altra faccia di ogni male, di ogni sofferenza, di ogni irrazionalità che salga alla coscienza, è per questo un « nuovo dominio di possibilità » o, com'è detto altrove, « un'energia possibile » (6).
Non sempre questa possibilità e questa positività sono determinabili, ma la certezza del loro essere potrà comunque fondare quella singolare pazienza che sta nella fede. « Ad ogni istante, da ogni fessura, la grande Cosa orribile irrompe, quella di cui ci sforziamo di dimenticare che è sempre là, da cui ci separa un semplice assito: fuoco, peste, tempesta, terremoto, scatenarsi di oscure forze morali, in un istante trascinano senza riguardi ciò che noi abbiamo penosamente costruito ed ornato con tutta la nostra intelligenza e il nostro cuore». E, tuttavia, di fronte alla Cosa orribile, non è lecito soccombere impietriti o maledicenti.  La « dignità umana », cioè la forza distintiva, debole e potente, della riflessione, riconosce e giudica e perciò implica o indica l'Essere. « La Cosa enorme ed oscura - dice ancora Teilhard - il fantasma, la tempesta, se vogliamo, sono Voi! « Ego sum, nolite timere ». Tutto ciò che ci spaventa nella nostra vita, tutto quel che voi stesso ha costernato nel Giardino, non sono in fondo che le Specie o le Apparenze, la materia d’uno stesso Sacramento » (7).
Ritroviamo, così, La messe sur le monde cui ci eravamo rivolti per una chiarezza di fondo.  E ritroviamo un altro senso di quella profondità: l'Essere sta all'inizio, come il Fuoco, eppure « l'illusione tenace » della coscienza superficiale sembrava porre all'inizio il freddo e la tenebra, il limite e la parzialità.  Quest'illusione ha una sua verità ed un suo fondamento: il fondamento è la nostra costituzionale parzialità.  Ciò che ci appare non è mai l'Essere, ma l'ente, il limite, il finito.  Connettiamo, ora. le due affermazioni, l'originaria coscienza dell'Essere e l'immediata esperienza del solo ente, e ne deriviamo una conclusione che è anche un metodo: Dio rivela la sua originarietà solo nell'intimo dell'ente, del limite, del finito.  La nostra attenzione, la nostra stessa attenzione religiosa, non potrà allora mai distaccarsi da questa parzialità, anche dove prevarichi in essa il segno del male, della sofferenza, della morte.  Se, dunque, si dovrà parlare di rassegnazione, questa non sarà mai abbandono o passività, ma lotta che affronta il negativo con la certezza di scoprirvi un positivo. « Non raggiungerò mai la Volontà di Dio (nella sua forma subita) se non al termine delle mie forze, là dove la mia attività, tesa all'essere migliore, si trova continuamente bilanciata dalle forze che tendono ad arrestarmi o a rovesciarmi » (8).
Vorrei notare che qui non si stabilisce solo un principio di forza etica, ma un criterio metodico del più alto conoscere.  Del resto, Teilhard vide bene che la distinzione fra teoresi e prassi non è in fondo reale: « per comprendere il Mondo - scrisse già nel 1919 -, non basta sapere: bisogna vedere, toccare, vivere nella presenza, bere l'esistenza tutta calda dal seno stesso della Realtà » (9).  Si pone qui la norma e la responsabilità di ogni ricerca metafisica, che quando si volge al reale è spesso tentata di non guardarlo, ma di spiegarlo frettolosamente nella rarefatta astrazione dei principi: ma, allora, nè il reale è spiegato, nè la sua radice è scoperta.  L'intelligenza metafisica d'ogni realtà, d'ogni regione dell'essere, può invero esercitarsi solo ove tutto il percorso di quella regione sia compiuto, solo ove ogni fenomeno sia stato descritto: quando l'attenzione fenomenologica non ha più parole o le avrebbe in modo contraddittorio, allora soltanto potrà porsi la domanda su Dio, una domanda che d'altra parte non ha mai cessato di guidarci.  Vorrei concludere con un'immagine, che ne Le Milieu divin è evidentemente richiamata dalla grande meditazione nel deserto di Ordos: «io so che la Volontà divina mi sarà sempre rivelata solo al limite del mio sforzo.  Come Giacobbe, toccherò Dio nella Materia solo quando sarò stato vinto da lui ».

NOTE

(1) S. KIERKEGAARD, Diario, X2 A 436, tr.  Fabro, Brescia,Morcelliana, 1963, vol. II, p. 38.
(2) Le Milieu divin, Parigi, Ed. du Seuil, 1957, pp. 88-89.
(3) Du cosmos à la cosmogénèse, in L'activation de l'énergie, Parigi, Ed. du Seuil, 1963, p. 271.  Cfr. p. 268, ove si parla di « ragioni statistiche implacabili », di « leggi dei grandi numeri ».
(4) Le Milieu divin, cit., p. 98.
(5) In Hymme de l'Univers, Parigi, Ed. du Seuil, 1961, p. 20.
(6)   Hymne de l'Univers, cit., p. 100.
(7)   Le Milieu divin, cit., pp. 172-173.
(8)   Ibid., pp. 99-100.
(9)   La puissance spirituelle de la matière, in Hymne de l'Univers, cit., p. 67.
 In : Testimonianze 8 (dicembre 1965) n° 80, 756-60








 
Mario Reguzzoni 
TEILHARD DE CHARDIN
Il padre Pierre Teilhard de Chardin é nato a Orcines (Puy-de-Dôme, una regione al centro della Francia), il 1° maggio 1881 ed è morto a New York il giorno di Pasqua (10 aprile) del 1955 all’età di 74 anni, colpito dal terzo infarto della sua vita. Era pronipote di Catherine Arouet, sorella di Voltaire, e durante la prima guerra mondiale, già gesuita, è stato barelliere in mezzo ai fucilieri marocchini, in prima linea, dove ha meritato una medaglia al valore e la Legion d’onore. Portando tra le sue braccia la vita di chi sta per morire, si è reso conto che il mondo ha un volto sacro e che attraverso la terra si può stabilire una comunione con Dio. Egli aveva l’ambizione di offrire il mondo moderno a Gesù Cristo ed era incapace di piegarsi alla lentezza con cui avviene l’evoluzione dei dogmi: non sapeva che prima bis ogna capire ciò che voleva dire il profeta alla gente alla quale questi parlava; poi cercare di cogliere il significato in se stesso di ciò che era stato detto; infine esprimere in una determinata cultura, in modo che la gente di un dato tempo possa capire, quello che era stato rivelato in un altro tempo e che era passato attraverso una comprensione «scientifica» prima di essere «tradotto». Teilhard non era un dogmatico; era un ricercatore che ha avuto successo nelle sue ricerche, ma non nella comprensione che di quelle ne aveva l’autorità ecclesiale.Per questo gli hanno tolto l’insegnamento della geologia all’Institut Catholique di Parig i e, nel novembre 1926, l’hanno mandato il più lontano possibile, in Cina, dove era già stato per due anni (1922-1924) di sua iniziativa. E qui ha avuto fortuna, come paleontologo. La Cina è sempre stata per i gesuiti la terra delle grandi imprese, ma, proprio perché le loro imprese erano grandi, sono stati molto tribolati. Teilhard ha scoperto il «cranio sinantropo adulto non frantumato», qualcosa di molto lontano dell’Adamo del Paradiso terrestre, ma capace di domare e usare il fuoco: si trattava di «un’onda di coscienza che avanza». Anche l’esilio era provvidenziale. Durante la seconda guerra mondiale non era con i partigiani francesi perché, dal 1939 per sei anni, è restato bloccato in Cina e quando, nel 1946, a 65 anni, è ritornato in Francia era stanco, ma anche padrone della sua scienza e sempre pronto a rinascere. Era un profeta e come tutti i profeti restava solo e abbandonato da tutti (i suoi). Mentre la Repubblica lo celebrava come «una gloria della scienza francese», Roma gli intima di mantenere il silenzio su quanto non riguarda la sua specializzazione scientifica. Invece di mettere a frutto le visioni di Teilhard e la sua profetica proposta di rinnovamento, Roma vede nella corsa dell’universo in evoluzione da venti miliardi di anni un sistema che «non è scevro di oscurità e di ambiguità pericolose» e l'enciclica Humani Generis si limita ad autorizzare gli studiosi cattolici ad ammettere la probabilità che il primo uomo sia stato creato da una «materia preesistente e vivente». Teilhard allora sceglie un altro esilio, quello dell’America, dove i gesuiti di New York lo accolgono come un amico. Egli obbedisce perinde ac cadaver al padre Generale Janssens, precisando che «Roma può avere le sue ragioni per ritenere che, nella sua forma attuale la [...] visione [che egli, Teilhard, ha] del cristianesimo sia immatura, incompleta, e che, di conseguenza, essa non possa, al momento essere diffusa senza inconvenienti», ma questo non lo porta a «interrompere la ricerca». I manoscritti vengono affidati a Jeanne Mortier, la sua segretaria, però Teilhard riconosce alla Compagnia di Gesù il diritto di «sconfessare» la sua opera, o di associarsi alla pubblicazione, o di prendere le distanze lasciando la responsabilità alla legataria. Quando Teilhard morì, al suo funerale solo una decina di persone ha seguito il feretro, ma la Casa editrice (Paul Flamand), in cui coesistevano cattolici, non cristiani e agnostici, decise subito e senza riserve la pubblicazione delle sue opere. Per sette anni, nessun gesuita francese, salvo il p. Russo nel 1958, fu disposto a testimoniare a favore di Teilhard. Il primo che lo fece fu il p. Henri de Lubac, poi cardinale di Santa Romana Chiesa, e La Pensée religieuse du père Teilhard de Chardin apparve nell’aprile del 1962, non senza il parere favorevole del generale dei gesuiti, p. Janssens: eravamo ormai al tempo di Giovanni XXIII. «Nessun pensatore vero è veramente “di tutto riposo” — scrive il p. de Lubac a pag. 280 (Jaca Book, 1983) —. L’audacia di lui, considerandola nell’insieme, fu pur sempre la “gioiosa audacia” della fede. Nel momento preciso “in cui l’umanità prende coscienza del suo destino e non può concepirlo se non terrestre o trascendente” egli è venuto [...] ad indicarle la sola direzione possibile. Tenuto conto, certo, delle inevitabili imperfezioni proprie della natura umana, la Chiesa cattolica [...] — alla quale sarebbe poco dire che egli rimase sempre ed in ogni circostanza immutabilmente fedele —, può riconoscere con gioia di aver generato in Pierre Teilhard de Chardin un autentico testimone di Gesù Cristo, quale occorreva al nostro secolo». Nel 1981, in occasione del centenario della nascita, mons. Casaroli, Segretario di Stato, inviò al rettore dell’Institut Catholique di Parigi una lettera che sembrava voler cancellare la lunga avversione romana per Teilhard. In essa, tra l’altro, si diceva che «probabilmen te il nostro tempo ricorderà, al di là delle difficoltà della concezione e dei limiti espressivi di questo audace tentativo di sintesi, la testimonianza della vita coerente di un uomo conquistato da Cristo nel più profondo del suo essere, e che si è impegnato a onorare tanto la fede quanto la ragione». Ma un comunicato stampa, nel giugno 1962, faceva sapere che la lettera del card. Casaroli era «ben lungi dal costituire una revisione delle precedenti prese di posizione della Santa Sede». Tuttavia vale per noi la lettera che p. Arrupe (successore del p. Janssens) scrisse il 15 luglio 1981 al provinciale dei gesuiti francesi, dove il generale dei gesuiti sottolinea l’instancabile attaccamento di Teilhard alla Chiesa: «E che egli abbia obbedito per la sua fede profonda nella Chiesa, e per il suo amore per lei, ce ne rendiamo conto valutando il peso della sofferenza che ciò gli è costato».

  Dalla rivista NOTAM 20 giugno 2005






















































































 
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 Commissione cultura del secondo circolo di Alba - Giugno 2006
 
  PIERRE TEILHARD DE CHARDIN
 “Chiedersi se l’universo si sviluppa ancora significa decidere se lo spirito umano è, o non è, tuttora in corso di evoluzione. Ora, a questa domanda io rispondo senza alcuna esitazione: sì”.
Teilhard de Chardin (1881 - 1955), fu uno studioso con una personalità straordinariamente ricca: scienziato (geologo e paleontologo), filosofo, teologo e mistico, cercò di conciliare le sue due anime di scienziato e di uomo di fede. Come cattolico si confrontò con la teoria evoluzionistica di Darwin, interpretandola non come processo casuale, cioè privo di finalità specifiche, ma governato da Dio, dando vita ad una specie di “evoluzionismo finalistico” che venne condannato dalla Chiesa ufficiale. 
Il pensiero di Teilhard de Chardin matura a cavallo tra ottocento e novecento, in un periodo di grande fermento scientifico in cui gli studiosi umanisti s’interrogano sul futuro della civiltà occidentale, il positivismo va in crisi e i fisici teorici fanno scoperte tali da far saltare le sicurezze nei confronti della “realtà” come fino ad allora era concepita. Alla concezione materialistica del darwinismo e del positivismo, egli oppose una cosmologia che assumeva il “principio dell’evoluzione”,  ma lo estendeva alla realtà spirituale.
L’universo è tutto e sempre in movimento,  ha impiegato miliardi e miliardi di anni per produrre la vita e poi il pensiero e la natura ancora oggi è “divenire”, è “un farsi”. Anche lo psichismo più elevato che conosciamo, l’anima umana, non sfugge a questa legge comune a tutte le cose. Ma, si chiede Teilhard, quale può essere la spinta profonda dell’intera ascesa delle forme di vita? Egli rileva che la trasformazione morfologica degli esseri pare essersi rallentata proprio quando sulla Terra il pensiero faceva la sua comparsa. Questa considerazione, unita al fatto che l’unica direzione costante seguita dall’evoluzione biologica è stata quella del più grande cervello, ossia della maggior coscienza, gli fa ipotizzare che forse il motore dell’evoluzione è stato il “bisogno” di pensare, di conoscere. L’evoluzione pare dunque essersi fermata in quanto a nuovi esseri e nuove forme. Ciò significa che avendo prodotto l’organo del pensiero (la coscienza), l’evoluzione procederà solo se la coscienza stessa, nell’uomo, svilupperà se stessa giungendo a percepirsi come ente universale responsabile di un movimento che non sarà più, come in passato, tutt’uno con la trasformazione delle forme materiali, ma tutt’uno con il movimento autocosciente del pensiero. E poichè è l’uomo il veicolo ed il portatore di questa conquista universale che è costata al cosmo miliardi di anni di lavoro, è solo se l’uomo dirà sì al suo compito e alla sua responsabilità universale che l’evoluzione potrà proseguire. Affinchè ciò accada è necessario che l’uomo si renda conto del valore biologico dell’azione morale e della natura organica dei legami interpersonali. La materia, secondo Teilhard, ha in sè, fin dalla sua origine la “coscienza” come principio organizzativo, quindi l’evoluzione non è solo processo deterministico, ma anche teleologico. L’evoluzione dalla pre-vita (mondo inorganico) alla vita (biosfera) tende alla produzione del mondo dell’uomo e del pensiero (noosfera), come suo culmine.
L’uomo, però, non è il punto finale: l’universo e l’uomo tendono a un punto Omega. Per il cristiano è il Cristo cosmico, punto di unione di tutta l’umanità. A questo punto lo scienziato e il filosofo lasciano posto all’uomo di fede, al mistico, che contempla il mistero di Cristo nella creazione. La sintesi del suo pensiero si manifesta non in un banale panteismo,, ma in uno sguardo di fede, capace di “vedere Dio in tutte le cose... Senza mescolarsi nè confondersi con l’universo, Dio, il vero Dio cristiano, lo invaderà sotto i vostri occhi” (L’ambiente divino, Il Saggiatore, p.24). Si comprende, a questo punto, la dinamica fondamentale dell’evoluzione dell’universo, nelle varie tappe, finalizzate alla nascita del cosmo, della vita, del pensiero e di Cristo: cosmogenesi, biogenesi, noogenesi, cristogenesi.
Teilhard de Chardin è un evoluzionista ottimista. Egli non ignora la sofferenza presente nella realtà, il suo è l’ottimismo della fede, ma “credere non è vedere. Quanto ogni altro, io cammino nelle ombre della fede...no, Dio non si nasconde, ne sono sicuro, perchè noi lo si cerchi, così come permette che noi soffriamo, ma non per aumentare i nostri meriti. Al contrario, chino sulla creazione che sale verso di Lui, egli lavora con tutte le sue forze per beatificarla e illuminarla...Ma i nostri occhi non possono ancora percepirlo...Il Regno di Dio è dentro di noi. Quando il Cristo apparirà non farà che manifestare una metamorfosi lentamente compiutasi, sotto il suo influsso, nel cuore della massa umana” (L’ambiente divino, p.158).

Bibliografia
Le opere finora pubblicate sono più di venti. Tra i titoli più significativi ricordiamo: La vita cosmica, Il Cristo nella materia, Cristologia e evoluzione, Il fenomeno umano, L’ambiente divino, L’apparizione dell’uomo, L’avvenire dell’uomo, Scienza e Cristo.
Indice cultura                 
Questo testo : Evoluzionismo della mente umana: riflettendo con Pierre Teilhard de Chardin è tratto da INSIEME...IN VIAGGIO, periodico  dellawww.secondocircoloalba.it 

 
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