sabato 29 dicembre 2012

1965:il primo convegno su Teilhard de Chardin in Italia

 

Nel 1965, in piena contestazione, da parte di molti teologi cattolici,  del pensiero e dell’opera di Pierre Teilhard de Chardin, si tenne a Milano un bellissimo e interessantissimo comvegno sull’opera  “Le Milieu Divin” organizzato dal Centro di Studi e Documentazione “Teilhard de Chardin” di Milano.  Al convegno parteciparono intellettuali francesi  e belgi insieme a molti italiani provenienti anche da Università Cattoliche.

Lo scopo del convegno era quello di approfondire  il pensiero spirituale di  Teilhard de Chardin.  L’opera “Le Milieu Divin “ stava per essere tradotta in italiano ed era perciò opportuno approfondire questo strumento di spiritualità teilhardiana.
Il convegno suscitò grande interesse e gli atti furono pubblicati dal Centro di Studi nell’ormai introvabile volume: “Il Messaggio Spirituale di Teilhard de Chardin”
Su questo blog non possiamo pubblicare tutti gli atti, ma per farvi cosa gradita il Centro di Documentazione Teilhard de Chardin di Roma (vedi messaggio n.3)  mi ha fornito copia del discorso finale pronunciato da Padre Davide Maria Turoldo OSM che qui vi ripropongo.

NIENTE MITI
Il mio compito è solo quello di intervenire; dunque nulla più di un intervento, anche se sono in grave difficoltà per le troppe cose che mi urgono dentro.  E il mio sarà molto semplice, come si conviene  a me che vengo dai campi e dalle vigne.  E però questa è una condizione che può sapere di privilegio per intendere Teilhard de Chardin e poi dirmi subito un suo amico naturale, di lui che ha amato la terra come una creatura viva.
Sono state dette molte cose e bene in questi due giorni di nobilissimo simposio teilhardiano.  Avete sentito parlare de “Le milieu divin” come atmosfera, mediazione e centro. E il centro è l’azione creatrice.  E si è parlato dell’azione come dell’attuazione di tutte le possibilità umane.  Avete sentito che non esiste il “profano”; un pensiero questo che rimanda subito ai  due verbi in riassunto dell’opera di Cristo rispetto alla creazione: “non minuit sed sacravit”.
Si è parlato del rapporto tra religione e scienza; tra spiritualità cristiana e spiritualità moderna. Si è parlato dell’accordo tra  la fede e il mondo della fede.  Ed erano tutti discorsi necessari.  Ma a me, al punto in cui siamo, oltre il pensiero di Teilhard, m’interessa l’uomo.  E non tanto per rifarvi la vita quanto per dirvi le impressioni suscitate nel mio animo dalla lettura delle sue opere, in particolare dalla meditazione di “Le milieu divin”, l’opera da considerare la più provvidenziale per ogni genere di cultura, anzi per la cultura tout-court.
Infatti, al termine della lettura il primo moto del mio animo è stato quello di ringraziare Dio che sia esistito Teilhard de Chardin; e che abbia scritto quei  libri e questo libro.  Ho sentito che Teilhard è tutto vero anche se non è tutto svolto.  Ho visto che è un uomo in continua modificazione di se stesso; e che  la sua non è una dottrina statica, ma in movimento; e  che per capirla bisogna  mettersi dentro lo stesso movimento di Teilhard.  Teilhard de Chardin è un creatore sincero ed umile di tutta verità, sia pure sempre attraverso il dettaglio, un dettaglio mai staccato dall’insieme-
Tuttavia capisco anche il monito del S.Uffizio, perche la Weltanschaung teilhardiana è troppo  seducente e presuppone troppa conoscenza; anzi presuppone tutta la conoscenza teologale, come era naturale che avvenisse sia perché sacerdote di integra fede sia perché scienziato altrettanto  onesto e integro da non barare mai al gioco e di non prevaricare in favore di nessuna parte, tanto meno di proclamare la vittoria del dettaglio sull’insieme, dell’ipotesi  sull’asserto.
Posso anche accettare la famosa  riserva “Teilhard si, il teilhardismo no”.  E a ciò aderisco come a un invito a non vivere più parassitariamente sulle spalle di nessuno.  Perché nessun uomo può comprendere tutta la realtà ed esaudire tutta la verità; perché la verità ci trascende sempre, e tutto e tutti.  Diversamente si rischierebbe di codificare ciò che non è codificabile; cioè si verrebbe a determinare un immobilismo dentro la concezione più dinamica che io conosca, che è appunto la concezione teilhardiana dello spirito e del mondo.  Non vorrei che succedesse quello che è successo al tomismo per esempio, o almeno a un certo tomismo finito in una dannosissima sterilità.
Il primo monito di Teilhard è quello di andare oltre Teilhard; cioè l’invito a studiare e ad andare avanti.  Ad esempio sono parole di Teiklhard queste:” il punto Omega non è raggiunto che per estrapolazione: esso resta di natura congettuale; si presenta alla nostra mente con tratti vaghi e vaporosi”.  Cioè Teilhard è sempre aperto anche con se stesso.  E tiene aperta la porta alla stessa Cristologia e alla imprevedibilità dell’uomo.  Egli è consapevole che l’oggi di Dio non può coincidere con nessun tempo della creazione; donde la verità del “ non est vestrum nosse tempora neque  momenta”; donde la sua “cogitatio  fidei” che diventa il tutto senza pretendere di concludere.
La sua opera non è una sintesi; quindi niente miti.  La sua grande scoperta consiste nel fornirci un mondo nuovo, una via nuova di accesso all’essere di Dio e all’essere del mondo.  Egli è il creatore di un nuovo linguaggio, di una nuova espressione dell’uomo sullo spazio di Dio  e sulla storia del mondo.
Si sente inoltre che Teilhard de Chardin è impegnato non tanto sul piano dell’accettazione quanto sul piano della creazione e perciò la sua personalissima interpretazione della parusia e il suo concetto di speranza, molto diverso ad esempio dal concetto di speranza di Peguy, di Simone Weil, di Bernanos e di altri.
Se ci fosse tempo e spazio (e il mio non fosse un intervento) parlerei di Teilhard de Chardin come di un profeta e di un interlocutore tra il mondo  di Dio e il mondo dell’uomo, e poi mi piacerebbe definire quanto di giovanneo (del modo di sentire alla Giovanni XXIII  intendo) c’è nella vita e nel sentire di Teeilhard de Chardin.
Per il suo spirito profetico basta che rileggiamo insieme queste parole conclusive del “Milieu divin”:
“Allora abbiamo lasciato assopire il fuoco nei nostri cuori addormentati.  Senza dubbio, con maggiore o minore angoscia, ognuno di noi vede avvicinarsi la morte individuale.  Senza dubbio, inoltre, noi preghiamo, e ci comportiamo coscienziosamente, … perché avvenga il Regno di Dio..Ma in realtà  quanti di noi trasaliscono realmente, in fondo al cuore, di fronte alla speranza folle di una rifusione della nostra terra?  Chi sono quelli che navigano in mezzo alla nostra notte, rivolti alle prime luci di un Oriente reale?  Qual è il cristiano nel quale la nostalgia del Cristo riesce non dico a sommergere (come dovrebbe), ma soltanto ad equilibrare le cure dell’amore e degli interessi umani?  Qual è il cattolico così appassionatamente votato – per convinzione e non per convenzione – a diffondere le speranze dell’Incarnazione, come molti umanitari sogni di una Città nuova? Continuiamo a dire che vogliamo nell’aspettativa del Maestro.  Ma, in realtà, se vogliamo essere sincersi, siamo costretti a confessare che non aspettiamo più niente.  Bisogna, a qualunque costo rinnovare in noi stessi il desiderio e la speranza del Grande Evento.
Guardiamo la Terra intorno a noi.  Cosa succede sotto i nostri occhi, nella massa dei popoli?  Da dove vengono quelle disordine nella Società, quell’agitazione inquieta, quelle onde che si gonfiano, quelle correnti che circolano e si riuniscono, quelle spinte contrarie, formidabili e nuove?  L’Umanità, visibilmente, attraversa una crisi  di crescita.  Acquista oscuramente coscienza di quello che le manca, e di quello che può.  Davanti a lei l’Universo diventa luminoso come l’orizzonte dal quale sta per spuntare il Sole.  L’Umnaità ha il presentimento, dunque, e  aspetta..
Per desiderare la Parusia, non dobbiamo fare altro che lasciar battere dentro di noi, cristianizzandolo, il cuore stesso della terra.  Perché dunque, uomini di poca fede tenere o storcere la bocca davanti al rpgresso del mondo?  Perché moltiplicare imprudentemente le profezie e le difese::: Non andate…non tentate …, tutto è sconosciuto: la Terra è vuota e vecchia, non c’è più niente da trovare…Tentare tutto per il Cristo! Sperare tutto per il Cristo! Nihil intentatum!  Ecco proprio all’opposto, il vero atteggiamento del cristiano.  Divinizzare, non è distruggere: ma super creare.  Non  sapremo mai tutto quello che l’Incarnazione  aspetta ancora   dalle potenze del Mondo.  Non spereremo mai abbastanza per l’unità umana e nell’unità umana, in continuo progresso.”
Importante notare che nella spinta profetica non contano tanto ilimiti quanto la stessa spinta, lo spirito d’attesa appunto.
Come uomo del dialogo con Dio e il mondo dobbiamo dire che teilhard de Chardin è prima di tutto un uomo che ascolta.  Ascolta Dio e l’uomo.  Egli crede nei suoi interlocutori, li stima, li ama e prima di parlare cerca di sentire in se stesso tutto quello che hanno da dire.
In  fatto  di  messaggio direi che Teilhard, più che per la interpretazione evoluzionistica del mondo, è importante per i mutamenti delle coscienze che proclama e mette in rilievo quali basi continuamente mobili del sapere; più che se egli si movesse su una nave nella scia della più grande nave che è il mondo.
E in quanto ai suoi molti aspetti giovannei basti pensare al modo in cui è vissuto, al modo in cui ha sofferto e obbedito; e alla speranza e alla gioia che hanno saputo l’uno e l’altro – cioè Teilhard e papa Giovanni – donare al mondo; e alle strane date delle loro morti, perché l’uno muore a Pasqua (come desiderava) e l’altro a Pentecoste.
Per l’opera dell’uno e dell’altro e per le possibilità offerte dalle loro vite e dai loro insegnamenti, mi piace riportare qui il pensiero di uno scrittore italiano,perché mi sembra adatto a concludere.
“ L’uomo d’oggi vive in una concezione tale dell’universo fisico e della società umana, che non possono più essere validi per lui gli  argomenti destinati a condurre alla fede che apparvero efficaci per altre generazioni.  Non direi che questa concezione renda di per sé più difficile aderire  ad un credo religioso, ad una morale di amore e di rinuncia.  All’opposto mi sembra che la scienza di fronte alle oscurità che ha dissipato, abbia fatto scorgere profondità così grandiose, abissi di spazio e di tempo, valore relativo di quelli che sembravano i pilastri della nostra conoscenza, da indurre ciascuno  a piegare le ginocchia.
Se la religione si nutre del mistero, se le è propria l’umiltà degli uomini, direi che l’uomo del nostro tempo debba sentirsi infinitamente più piccolo, più conscio della complessità di quell’universo in cui la scienza gli ha consentito di gettare lo sguardo, che non si sentisse l0uomo del tempo di Galileo.  E direi anche che se oggi gli uomini si possono odiare, possono pure avere vaneggiamenti, pensare di adoperare gli strumenti che la scienza ha posto nello loro mani per distruggere intere razze, hanno tuttavia presente come non mai la realtà (che occorre accettare, piaccia o non piaccia) di formare una unica famiglia, di avere una solidarietà di destini (A:C:Jemolo)
Ecco perché nelle pagine di Teilhard de Chardin mi trovo come nel muo elemento.  E se dunque anche per voi è così, soprattutto è così per il giovane mondo, allora c’è davvero da sperare bene; e anzi, che non si spera mai abbastanza.
Padre DAVID M. TUROLDO  O.S.M.
In AA:VV. Il messaggio spirituale dfi Teilhard de Chardin
Centro Italiano di  Studi Teilhardiani , Milano, Torino, Firenze, 1965



















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