sabato 19 gennaio 2013

Comunità di Taizè

Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955) : Prendre le monde au sérieux

Un frère de la communauté a écrit la réflexion suivante sur la vision de Pierre Teilhard de Chardin quant à l’importance de ne pas séparer la foi d’un souci pour ce monde.
Un enfant tient serré dans sa main un bout de bois. Mais une pensée s’empare de lui : ce bois finira par pourrir. Maintenant il a saisi un caillou, mais il sait que la pierre est, elle aussi, condamnée à s’effriter. Voilà un objet en fer. Enfin, il croit tenir ce qui résistera à la décomposition. Enfant, Pierre Teilhard de Chardin, né en 1881, fit une expérience semblable. Il cherchait ce qui pourrait résister à la mort.
Devenu jésuite, scientifique de renommée mondiale, il élabore une vision de la foi chrétienne qui tient compte de la sensibilité des hommes et des femmes de son époque, plus conscients du pouvoir qu’ils ont de transformer le monde, mais plus angoissés également par la perspective de la mort universelle.
Teilhard sait que, pour un grand nombre de ses contemporains, ce qui est réel, c’est le monde visible. Parler de Dieu d’une manière qui ne tient pas compte de ce fait c’est sans le vouloir favoriser l’incroyance. Il croit que Dieu prend ce monde au sérieux, et que c’est en le prenant au sérieux que le chrétien fera réapparaître pour ses contemporains la figure du Christ. Quand Teilhard regarde le réel en face, il ne voit pas la mort, mais le Ressuscité qui s’est fait solidaire de ce monde. Le Ressuscité n’est pas pour lui un concurrent du monde, mais celui qui seul lui assure un avenir. C’est que Teilhard sait unir là où d’autres ne savent qu’opposer. Et il retrouve ainsi l’esprit dans lequel certains chrétiens des premiers siècles avaient pensé le christianisme. Ainsi Saint Irénée, évêque de Lyon au deuxième siècle, qui ne songeait pas un instant à opposer le monde créé et la vie d’éternité avec Dieu. Ces mots d’un contemporain de Teilhard, le philosophe Maurice Blondel, font saisir la préoccupation de Teilhard : « On craint de confondre, il faut craindre de ne pas unir assez… C’est en effet quand on ne sait pas bien unir qu’on craint de confondre. Si trop souvent aujourd’hui la vie générale de l’humanité se retire du christianisme, c’est peut-être qu’on a trop souvent déraciné le christianisme des viscères intimes de l’homme. » (Cité par Henri de Lubac, Teilhard Posthume.)
Teilhard voulait faire percevoir à ses contemporains « la connexion intime qui existe entre le triomphe du Christ et la réussite de l’œuvre que cherche à édifier ici-bas l’effort humain. » Il découvrait dans les Écritures non pas ce qui déprécie les tâches terrestres, mais ce qui les situent dans un devenir. Il ne voyait pas dans le travail humain, comme ce fut trop souvent le cas, une « peine », mais un accomplissement. Cela ne signifie pas que Teilhard confonde réussite terrestre et Royaume de Dieu. Il sait que l’action gratuite de Dieu doit tout transfigurer. Mais ce que Dieu transfigurera c’est bien ce monde.
S’il est un lieu où plusieurs grandes intuitions de Teilhard se vérifient, c’est dans l’Eucharistie. Que deviendront le pain et le vin, « fruit de la terre et du travail des hommes » ? Ils deviendront le Corps et le Sang du Christ. C’est à dire qu’ils ont un avenir inespéré, qu’ils ne peuvent se donner à eux mêmes. On comprend que Teilhard puisse écrire : « En réalité, ce n’est pas le sens de la Contingence du créé, mais c’est le sens de la Complétion mutuelle du Monde et de Dieu qui fait vivre le Christianisme. »
Dernière mise à jour : 17 mars 2012

 

GIU’ LE  MANI  DA  TEILHARD

                 di Rodolfo Righetto

Sbagliato farne un adoratore del futuro. I Cybernauti lo proclamano patrono di Internet, i seguaci della New Age se l’annettono snaturandone il messaggio.


Il patrono di Internet? Ma è Teilhard de Chardin, il teologo probabilmente più citato da guru e manovratori della rete. Ecco cosa scrive l'astrofisico Jean-Pierre Luminet, nel portale d'accesso del Cnrs: "Con Internet la ben nota "coscienza planetaria", tanto spronata da precursori come Teilhard de Chardin, diventa palpabile...". Il grande paleontologo francese morto nel 1955 e del quale si fa una gran fatica a reperire gli scritti, almeno nel nostro Paese (tranne la meritoria opera dell'editrice Queriniana, che negli anni scorsi ha pubblicato diversi volumi fra cui il ben noto Il fenomeno umano), avrebbe formulato la teoria di una "mente planetaria", o addirittura di una "rete nervosa planetaria" che affascina e trova molti estimatori nel mondo dei cybernauti o dei filosofi dei media come Derrick de Kerckhove, il più noto discepolo di Mac Luhan (Lo fa notare Carlo Formenti nel suo libro appena uscito da Cortina Incantati dalla rete in un capitolo dedicato appunto a Teilhard). Ma l'autore dell'Ambiente divino viene sempre più accreditato anche come profeta del New Age, tanto da costringere l'"Associazione degli amici di Teilhard" che ha sede in Francia a diffondere sul suo sito Internet alcuni interventi che contravvengono questa tesi. Come quello di padre Gustave Martelet, che sottolinea una differenza essenziale: "Il Dio del New Age (se c'è un Dio) è un Dio cosmico, anzi un cosmo divinizzato, mentre il Dio di Teilhard è il Dio del cosmo, il Padre del cosmo". È inammissibile perciò annettere il pensiero di Teilhard de Chardin a un religiosità così vaga e confusa come quella del New Age, fatta di "un sincretismo di auto-produzione dell'uomo", di "un pelagianesimo della natura", di "una religiosità planetaria e atea", di "un universalismo totalmente immanente", di "un misticismo post-cristiano dove l'altro, o gli altri semplicemente rimpiazzano l'Altro, l'Assoluto". Conclude seccamente Martelet: "Non facciamo di Teilhard un garante del New Age". Ma l'operazione di chi tenta di accostare Teilhard al New Age fa leva su un elemento non secondario, il panteismo, di cui proprio il gesuita-scienziato fu più volte accusato. Sempre sul sito degli "amici di Teilhard" è possibile leggere un'intervista da lui rilasciata nel 1951, pochi anni prima di morire, in cui egli rigetta totalmente l'ipotesi di essere panteista. "Dapprima, mi hanno considerato un ottimista o un utopista beato, un sognatore di uno stato d'euforia umana in un qualche futuro. Poi, cosa più grave ancora, si va ripetendo che sono il profeta di un universo che distrugge i valori individuali.
In verità, la mia più grande preoccupazione è stata quella di affermare che l'unione fra l'uomo e Dio, fra l'uomo e l'altro uomo, fra l'uomo e il cosmo non annulla mai la differenza. Io mi trovo agli antipodi sia di un "totalitarismo sociale" che porta al termitaio sia di un "panteismo induizzante" che conduce ad una fusione e un'identificazione fra gli esseri".
Parole assai chiare. Così come quelle di padre
Lepoutre, in un altro intervento diffuso sulla rete: "Teilhard non è un panteista sulla linea delle religioni orientali o dello stoicismo antico: per lui c'è sempre un Qualcuno che attira tutto e tutti a sè". Lepoutre ricorda poi come Teilhard non ha mai avuto nessun interesse verso l'astrologia, la parapsicologia o lo spiritismo, come invece vuole la nuova vulgata del bricolage religioso d'inizio millennio.
E tantomeno verso le teorie della reincarnazione, così presenti nel New Age.
Ma se il cybermondo da una parte e il New Age dall'altra tendono ad annettersi Teilhard, si può constatare anche nel pensiero cristiano una nuova attenzione? Sì e no. A una lettura attenta s'impongono segnali contrastanti.
Alcuni incoraggianti, come la ripresa della rivista semestrale Il futuro dell'uomo, diretta da
Fabio Mantovani e ora pubblicata dall'editore Il Segno dei Gabrielli di Verona (tel. 045/7725543). Lo stesso editore sta poi per dare alle stampe il volume L'orizzonte dell'uomo, che presenta un'accurata raccolta di pensieri teilhardiani. L'editrice milanese Ancora da parte sua manda in libreria uno studio del gesuita americano Robert Faricy sul pensatore francese. Infine, la rivista teologica internazionale Concilium, che dedica il suo ultimo numero al tema "Fede ed evoluzione", contiene anche un contributo dello zoologo Lodovico Galleni con alcune riflessioni sull'escatologia di Teilhard, in cui emerge che la prospettiva finale del "punto Omega", identificabile con la seconda venuta di Cristo, per Teilhard dev'essere in qualche modo preparata dall'uomo, in un cammino evolutivo ove il progresso umano rischia di coincidere con la storia della salvezza. Che Teilhard non sia molto di moda fra i cattolici l'aveva notato anche padre Xavier Tilliette, un anno fa, in un saggio apparso sulla rivista dei gesuiti Civiltà cattolica. Per Tilliette la fine del secolo non sembra molto favorevole all'autore del Fenomeno umano. I successi della scienza si accompagnano oggi a gravi preoccupazioni: "Il suo coraggioso ottimismo è fuori stagione, la sua filosofia pecca per eccesso. La sua fiducia nella scienza è messa a dura prova". In realtà, annota ancora Tilliette, le idee di Teilhard sono ben lungi dall'aver fatto fortuna, salvo in alcuni passi della Gaudium et spes. Contrariamente a quanto sostengono i maitres-à-penser del virtuale, temi come la divinizzazione dello sforzo umano, la rete comunicativa sempre più stretta, la coscienza planetaria e l'unificazione dell'umanità appartengono agli aspetti più friabili e caduchi del pensiero teilhardiano.
Anche la tendenza a canonizzare un'iperfisica resta un punto debole dell'impianto teilhardiano, peraltro già denunciata a suo tempo dall'amico padre
Henri de Lubac, che pure lo difese strenuamente dalla persecuzione della Chiesa. A parere di Tilliette invece "oggi bisogna prendere molto sul serio l'apporto teologico di Teilhard, l'impulso che egli può dare alla cristologia, che era il suo punto di partenza". Elementi già rilevati da von Balthasar e Rahner (che aveva riprodotto la preghiera di Teilhard per la buona morte sull'immagine-ricordo di sua madre) ma poco studiati. E la cristologia di Teilhard è quella di Paolo e Giovanni, ma soprattutto dei Padri greci. Lo sottolinea un saggio di Nynfa Bosco sul numero appena uscito della già citata rivista Il futuro dell'uomo: l'idea che la creazione sia da intendere come incarnazione continuata e progressiva e che la salvezza riguardi anche il cosmo è presente in tutti i Padri greci dei primi secoli, da Gregorio di Nazianzo a Giovanni Crisostomo e a Massimo Confessore. Ad una teologia "mistica" che tendeva ad unire il divino e l'umano, lo spirito e la materia, la cristianità d'Occidente preferì una teologia più razionale ("dal simbolo alla dialettica", come scrisse de Lubac). L'Oriente invece è rimasto fedele alla sua tradizione come dimostrano i teologi russi del '900: e qui la studiosa rileva le numerose analogie tra Teilhard e Florenskij, il pensatore ortodosso martirizzato alle Solovki. Problemi come il dolore e il male non sono rimasti estranei alla riflessione di Teilhard: semmai restano come in sospeso, senza una soluzione definitiva. Ma va anche ricordato, a chi lo vuole incapsulare forzatamente fra "gli adoratori del futuro", che egli ha previsto anche l'insuccesso dell'evoluzione. La sua amicizia con lo scrittore Robert Hugh Benson, l'autore di fantascienza religiosa noto soprattutto per Il padrone del Mondo, un romanzo sulla fine dei tempi ove un Anticristo dal volto umanitarista (come in un testo analogo del filosofo russo Solov'ev) sembra prevalere sull'ultimo sparuto gruppo di cristiani rimasto, fino al ritorno finale di Cristo, sarebbe in questo senso da esplorare. Ma Teilhard ha anche scritto pagine severe sull'inferno e sui dannati. Per dirla ancora con Tilliette: "Non ha affatto minimizzato la sofferenza e la morte, non ha strappato il loro dardo, anzi, ha conosciuto il prezzo dell'inazione della quale la sorella preferita, Margherita Maria, immobilizzata dall'infermità, era la vittima e l'ostia".

Roberto RIGHETTO
Avvenire 18 aprile 2000
 
 
 

Federico Garcia Lorca


 Gli incontri di una lumaca avventurosa

Certamente tutti voi conoscerete questa bellissima poesia di Garcia Lorca
Mi sono ritrovato a  rileggerla in questi giorni e non ho potuto fare a meno di pensare che alcuni passi di questa lode ben si prestavano, e mi scuso per l’ardire del confronto, ma è soltanto una “licenza” che mi sono preso, a illustrare in pochi versi la vita e il dramma di  Pierre Teilhard de Chardin. Non dico altro se non spingervi alla lettura di questi  pochi versi tratti dalla poesia citara
………………………………………….
La povera lumaca
torna indietro. Si diffonde
dal viale sul sentiero
un silenzio ondulato.
S'incontra con un gruppo
di formiche rosse.
Sono tutte eccitate
hanno un gran da fare
per trascinare una compagna
che ha le antenne rotte.
La lumaca esclama:
"Pazienza, formichette.
Perché maltrattate così
una vostra compagna?
Ditemi cos'ha fatto.
Giudicherò io in coscienza.
Raccontalo, tu, formichetta."

La formica mezza morta
dice triste triste:
"Ho visto le stelle"
"Cosa son le stelle?"
dicono le formiche inquiete.
E la lumaca domanda
pensierosa: "Stelle?"
"Si", ripete la formica,
"Ho visto le stelle,
son salita sull'albero
più alto del viale
e ho visto mille occhi
nelle tenebre."
La lumaca domanda :
"Ma cosa son le stelle?"
"Sono luci che portiamo
sulla nostra testa".
"Ma noi non le vediamo",
commentano le formiche.
E la lumaca: " La mia vista
non va più in là dell'erba."

Agitando le antenne
le formiche esclamano:
"Ti ammazzeremo; sei
perversa e pigra.
La tua legge é il lavoro".
"Ma io ho visto le stelle";
dice la formica ferita.
Sentenzia la lumaca:
"Lasciate che se ne vada,
seguitate le vostre faccende.
D'altronde forse tra poco morirà":

Nell'aria dolce
é volata un'ape.
La formica in agonia
avverte l'immensa sera
e dice: "Ecco chi viene
a portarmi su una stella".

Le altre formichette
se ne vanno nel vederla morta.

La lumaca sospira
e stordita s'allontana
tutta confusa
circa l'eternità. "Il sentiero
non ha fine", esclama.
"Forse di qui
si arriva alle stelle.
Ma questa gran pigrizia
mi impedirà di giungerci.
E' bene non pensarci più".

Ogni cosa appariva soffusa
di nebbia e sole pallido.
Campane in lontananza
invitano la gente in chiesa
e la lumaca, pacifico
borghese della strada,
stordita ed irrequieta
ammira il paesaggio
.(Federico Garcia Lorca)
 



 
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  FEDE APERTA PER L'UOMO DI OGGI
"Attendere l'inatteso" nel pensiero di Teilhard de Chardin

                    Rodolfo Arata

Due ostacoli hanno contrassegnato ed ancora oggi accompagnani il pensiero di  Teilhard de Chardin: la critica pregiudiziale e l'apologia incondizionata.
Lungo  la  traccia della prima categoria or non è molto uno storico professionale pretendeva di liquidare in poche parole il paleontologo che nelle millenarie rughe della terra, intravvide la perenne giovinezza dell'uomo.  Ricordo che mentre ascoltavo l'autorevole ben pensante faceva in me capolino la valutazione non mai abbastanza citata di un grande storico, Arnold Toynbee, il quale non temette di compromettere la sua fama mondiale  scrive3ndo: " Teilhard sarebbe già un grande  dell'intelligenza se si fosse limitato alla paleontologia soltanto, ma di fatto,è anche un grqnde poeta e un cristiano, e ciò fa di lui un gigante sia della spiritualità, sia dell'intelligenza.  Egli spezza le barriere fra le discipline specializzate che separano i mandarini accademici, perchè possiede un intelletto che va al di là delle convenzionali dicotomie del pensiero... Le Phenomene huomain è un atto di leberazione spirituale.  La sua visione unitaria va incontro a un bisogno spirituale del nostro tempo".
Inutile aggiungere che fra lo sbrigativo pregiudizio del primo e il moderato giudizio del secondo,  la  pigrizia la pigrizia si attesta automaticamente sulla linea del conformismo: quella che ripete gli stanchi formulari e ripudia le nuove motivazioni, sorda all'evoluzione del tempo e ferma su posizioni tagliate fuori dalla storia.  Perfino l'arcaico dualismo tra la scienza e la fede religiosa perde ilvalore di un confronto e scade in un monologo, dove sovente l'ascolto è solo formalistico.  Nessuno stupore se nella latitanza di un impegno è sorta la denuncia di una fede ancora impigliata nel chiuso della cosmogonia medioevale, che lasciava spazio ed iniziativa all'elaborarsi della dottrina materialista, ed alle forze dell'ateismo.  Teilhard de Chardin interrompe codesto percorso collocandosi al centro di una strategia in cui le due tensioni della sua sofferta esperienza personale - Dio e il cosmo - maturano e sanciscono la superiorità globale della concezione cristiana.
La strada è antica e nuova.  Ma i miopi non vedono le sorgenti e i presbiti hanno paura di avere coraggio.  A peggiorare la situazione sopraggiungono i panegiristi assai più sensibili alle rituali classificazioni delle analisi che non alle conseguenti definizioni della sintesi.  Vengono così contraffatte le basi della sua dottrina, i lineamenti della sua personalità:  E a seconda degli umori preferenziali di questo o quel commentatore, Teilhard viene posto fra questa o quella schiera di eterodossi.  Sembra che anche i suoi esaltatori siano in gara per inquadrarlo in un bersaglio di agevole colpibilità.
Si esercitano al tiro i discettatori dell'erudizione spicciola ed i "benemeriti" della centralità burocratica, che scambiano disinrteressatamente le "battaglie ideali" con i gradi della carriera.  Sennonchè nemmeno il fuoco incrociato della sospettosa malizia  riesce a cancellare i caratteri distintivi della concezione teilhardiana.  Come infatti essa poteva sopportare l'accusa di cedere alle illusioni e alle lusinghe di un fallace naturalismo,  che esaurisce in se stesso le prove di una falsa divinità, quando ogni aspetto di studio,  di indagine e di investigazione è rivolto a stabilire le profonde  relazioni intercorrenti  fra le strutture dell'universo e la complessione dell'uomo nella trascendente sovranità di Dio?.  Con l'anticipazione di settecento anni il maestro della scolastica Tommaso d'Aquino aveva segnato la strada che Teilhard doveva percorrere con l'ausilio del  nuovo patrimonio conoscitivo della scienza: "L'ultimo traguardo -  scrive  l'Aquinate - di tutto il processo della creazione è l'anima umana, e a questa tende la materia quale sua forma finale...perchè il traguardo di tutto il processo creativo è l'uomo".
Jacques Maritan, nel tanto discusso libro: Il Contadino Della Garonna" quasi pentito di aver riconosciuto nella incrollabile certezza della realtà del mondo" il punto di incontro fra S.Tommaso e il sacerdote-paleontologo, cerca di sminuirne il valore,  facendo slittare la valutazione dal piano filosofico, teologico e scientifico a quello immaginativo della poesia.
Un comodo stratagemma per evitare il dibattito suelle questioni aperte e arroccarsi nei turriti castelli di una prevalenza assai più enunciata che acquisita e dimostrata.
Sembra che con il mutare dei tempi non cambi il destino di Teilhard, mentre mutano gli orientamenti ed i pronunciamenti del veneraldo filosofo e del prestigioso diplomatico.  Fin dall'inizio, infatti della mistica  e scientifica peregrinazioni cosmica, il gesuita aveva chiesto che le proprie intuizioni ancora frammentarie sulla crescente convergenza liberatrice delle forze fisiche ed umane, fossero poste al vaglio di un dibattito ampio e approfondito.  Egli avvertiva la difficoltà di versare il vin nuovo nei vecchi otri o, se più aggrada, di sistemare le idee insorgenti dalle continue trasformazioni della realtà nel quadro della speculazione filosofica e teologica.  Ebbe risposte evasive o imperative:  le une avrebbero incoraggiato all'errore se errore vi fosse stato; le altre per naturale reazione avrebbero rafforzato il perseguimento della verità.
Mancò comunque l'incontro o  lo scontro delle idee inutilemte coperte da una forzata clandestinità che fece fiorire una sintomatica aneddotica.  Ad uno dei tentennanti amici che fra l'amletico essere o non essere, cli chiesero di ritrattare una locuzione, Teilhard risponde: " non si tratta di mutar parole ma di discuterne il senso.  Le ritrattazioni non servono: quella di Galileo fu solenne, ma non per questo la terra cessò di girare intorno al sole.  I fatti sono più grandi  dei vocaboli che tentano di designarli e di raffigurarli.  L'ingresso del consorzio umano nell'età cosmica non si può frmare con i formulari accademici, è tangibilmente e visibilmente in atto".
Ad un altro candido consigliere che vuol porre  Teilhard al riparo da fastidiosi contrasti e gli chiede se vale la pena di provocarli e di subirli, definì con Eraclito vano ed ozioso  l'interrogativo.  Se non "t'aspetti l'inaspetttato" abbandona i grandi temi dela civiltà e della cultura.
Colombo sapeva di poter raggiungere l'Oriente dall'Occidente attraverso una strada diretta, ma preferì avventurarsi nell'ignoto e l'inatteso. lo premiò con la visione di nuove terre.  La scoperta dell'elio nell'atmosfera solare  e della emissione del radio con il numero di elio acquisirono elementi conoscitivi, che dovevano avviarci alla rivelata frammentazione dell'atomo.
A chi voleva confonderlo menando il can per l'aia dellepompose e togate citazioni buone a tutto fare, suggeriva la saggia letturadi quanto galileo aveva scritto tre secoli e mezzo prima sul "saggiatore": "Parmi di avere per lunghe esperienze osservato, tale essere la condizione umana, intorno alle cose intellettuali che quanti altri meno ne intende e  ne sa, tanto più risolutamente voglia discuterne e che, all'incontro, la moltitudine delle cose conosciute e intese renda più lento e irresoluto al sentenziare circa qualche novità".
Ma a prescinde dagli episodi più o meno veritieri sta il fatto che Teilhard dovette superare difficoltà spesso contraddittorie per restare fedele alla Chiesa ed ai suoi ideali: quando enunciava pensieri isolati ma pur sempre obbedienti all'organicità di un disegno, veniva tacitatodi frammentarismo dispersivo: allorchè fromulava studi completi nelle premesse, nello svolgimento e nelle conclusioni era accusato di invadere campi proibiti, discipline riservate all'empireo dell'ufficilità.
Eppure nelle svolte più significative e tormentose non cedette mai alla tentazione di allentare i prorpri vincoli con la comunità cristiana:"Veramente - (e prroprio in forza di tutta la struttura del mio pensiero ) scriveva nell'ottobre del 1951 - mi sento più irrimediabilmente legato all Chiesa gerarchica e al Cristo del Vangelo di quanto lo si stato mai in alcun momento della mia vita".
 

 

 

 IL CARRETTO DEI LIBRI



Girando tra gli scaffali della libreria mi è ricapitato in mano il libro di Hans KUNG: L’inizio di tutte le cose – Creazione o evoluzione? Scienza e religione a confronto, edito da Rizzoli nel 2006.
Kung è un prestigioso teologo, esponente di spicco della ricerca teologica e del dialogo tra le fedi e con questa sua opera ci invita a ripensare l’opposizione tra evoluzionismo e creazionismo.
Un libro estremamente documentato e chiaro nelle sue argomentazioni tanto che Joseph Ratzinger, ora papa Benedetto XVI lo ha indicato come un’importante contributo per il rilancio del dialogo tra la fede e la scienza.
A pag. 118 c’è un sottocapitolo dedicato all’opera di Teilhard de Chardin.
Ve lo  ripropongo invitandovi nel contempo a leggere integralmente il volume di Kung.




L’EVOLUZIONE VERSO DIO: TEILHARD DE CHARDIN
                                  di Hans KKung


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L’evoluzione della natura e del cosmo fu il campo di attività dell’importante geologo e paleontologo Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955).  Egli considerò il compito della sua vita quello di conciliare le conoscenze delle scienze naturali con i concetti teologici.  A questo pensatore, fortemente influenzato dalla filosofia spirituale e vitalistica di Heiìnri Bergson (1839-1941) e dalla sua idea dell’evoluzione creatrice (èlan vital), la natura appare come un enorme processo di sviluppo che, andando avanti gradualmente con una complessità e un’interiorizzazione della materia sempre più forti:  Dio per lui non è solo l’origine e lo scopo della creazione: E’ esso stesso in evoluzione, partecipa a questa evoluzione, dalle particelle elementari  e dalla smisurate distanze del cosmo, oltre la biosfera del mondo vegetale e animale, fin nella noosfera delle spirito umano.
Nella visione del mondo di Teilhard de Chardin anche l’uomo stesso non è ancora concluso.  Egli è un essere in divenire: la formazione dell’uomo, l’antropogenesi non è ancora terminata.  Essa è sospinta sulla cristo genesi, la cristo genesi infine sulla sua futura pienezza, il suo “pleroma” (in graco pienezza), nel “ punto omega”, dove l’avventura collettiva e individuale dell’uomo trova fine e compimento, dove il compimento del mondo e quello di Dio convergono.
Questa “pleromizzazione”, questo giungere-alla-pienezza, questo sviluppo del cosmo e dell’uomo in avanti e verso l’alto culmina nel Cristo universale cosmico, che per Teilhard personifica l’unità della realtà di Dio e di quella del mondo.  Tutto ciò, naturalmente, non è per lui una visione della pura ragione, bensì della fede che riconosce,  Nel suo scritto “Comment je crois” egli formula il suo credo:
“Credo che il cosmo sia un’evoluzione. Credo che l’evoluzione tenda allo spirito. Credo che lo spirito si compia in un qualche Personale. Credo che il Personale supremo sia il Cristo universale”.
Teilhard è un mistico che suppone l’importanza evolutiva e cosmica dell’incarnazione di Dio in Cristo.  La maggior parte degli scienziati non lo seguianno in tali ardite ipotesi scientifiche, i  teologi trovano scoperte alcune delle sue opinioni teologiche, formulate spesso in modo unilaterale o – rispetto alla vita e alla croce di Gesù – insufficienti.  E forse oggi entrambe le parti rifiutano soprattutto il suo ottimismo – che riflette troppo poco sul problema della sofferenza e del male – la sua fede nel progresso e nel suo orientamento verso il “punto omega”.  A ogni  modo, Pierre Teilhard de Chardin ha il merito mai abbastanza lodato, di aver per primo pensato insieme in modo geniale la teologia e le scienze naturali e di aver portato, in modo provocatorio, gli scienziati e i teologi a conoscenza della “problematica comune”.  A lui premeva l’importanza religiosa dell’evoluzione e la portata evoluzionistica della  religione.  Non era per niente ingenuo e non vedeva alcun semplice “concordiamo” tra la Bibbia e le scienze naturali, come quello favorito da Roma.  Egli rifiutò decisamente certi tentativi di conciliazione fanciulleschi e immaturi, che mescolano le fonti e i livelli della conoscenza e che hanno portato solo a strutture incostanti e mostruose. Egli voleva  però in compenso una “coerenza fondata in profondità, con la quale divenisse visibile un tutto positivo ben costruito, nel quale le parti si sostengono e si completano a vicenda l’un l’altro sempre meglio.
Roma e i suoi luogotenenti furono immobilizzati da un’interpretazione statica della creazione da parte di Dio per molti decenni su quell’ideologia di un “creazionismo” che, di fronte alla dottrina darwiniana dell’evoluzione difende un “fissismo” e un “concordiamo”, come esso viene espresso per esempio di rfegola nei volumi del “Dictionnaire de la Bible”:  Perciò non meraviglia che a Teilhard entrato nel 1889 a diciotto anni nell’ordine dei gesuiti, i suoi superiori sotto la pressione di Roma, neghino già nel 1926 la cattedra all’Istituto Cattolico di Parigi:  In seguito essi sopprimono tutti i suoi scritti filosofici-scientifici e nel  1947 gli ordinano di non trattare più alcun tema filosofico.  Teilhard viene completamente isolato: nel 1948 gli viene vietato di accettare una nomina al College de France, nel 1951 – l’enciclica Humani generis di Pio XII viene “applicata” – lo si esilia dall’Europa all’Istituto di ricerca della Werner-Gren Foundation di New York.  Ancora  nell’anno della sua morte, il 1955, gli viene vietato di partecipare al Congresso Internazionale di Paleontologia:  Solo pochi uomini casualmente presenti seguono il feretro quando egli, morto la domenica di Pasqua a 160 chilometri da New York, viene seppellito nel cimitero del Collegio dei gesuiti (nel frattempo soppresso) sul fiume Hudson; solo con fatica potei trovare, durante il mio semestre come ospite a New York, nel 1968, la tomba di Teilhard.
In compenso, l’indice delle sue opere compiuto da Claude Cuenot annovera già 380 titoli.  Ma Teilhard potè pubblicare solo i saggi puramente scientifici.  Nel corso della sua vita non gli fu concesso di veder stampata neppure una delle sue opere principali.  Esse vennero pubblicate da un comitato internazionale di personalità illustri perché Teilhard aveva lasciato per testamento i diritti, invece che all’ordine, alla sua collaboratrice.
Il 6 dicembre 1957, però, due anni dopo la sua morte, venne emanato un ordine del Santo Uffizio di allontanare i libri di Teilhard dalle biblioteche, di non venderli nelle librerie cattoliche e di non tradurli in altre lingue.
“Dammatio memoriae” – cancellare il nome negli atti e così bandire dalla memoria – come gli antichi romani definivano questa pratica.  Solo dal Conciclio Vaticano II, in effetti, gli scritti di Teilhard hanno trovato anche nella chiesa e nella teologia cattolica il meritato riconoscimento.  Tuttavia il suo nome non è uscito dalle labbra di nessun papa:  Le autorità ecclesiastiche non hanno sino ad oggi ringraziato Teilhard  per la sua opera du conciliazione.  Lo stesso Concilio Vaticano II non potè decidersi, nonostante un coraggioso discorso dell’Arcivescovo di Strasburdo Leon Arthur Elchinger, né nel suo né nel  nel caso di Galilei, peruna chiara riabilitazione di chi è stato condannato a torto, perseguitato e calunniato (in questi ultimi tempi si sta parlando molto di Galileo e alcuni ecclesiastici vogliono farlo beato, ma su Teilhard silenzio assoluto, n.d.r.)
In questo modo anche la storia della sofferenza di questo pensatore teologico rimane una vergognosa testimonianza della povertà dello “spirito della persecuzione dei dissidenti nel sistema romano”,fino ad oggi assolutamente non scomparso e che certi aspetti non è dissimile da quello del sistema sovietico (Sacharow).  Ma né il “teologo politico” J.B.Metz, né il filosofo critico Jurgen Habermas osarono ricordare a Joseph Ratzinger, allora alla guida della “Congregazione per la dottrina della fede”, questo fenomeno profondamente anticristiano (recentissimo grave caso la destituzione del caporedattore della stimata rivista gesuita “America”, Thomas Reese).


















 
 
 

 

lunedì 14 gennaio 2013

 
Pierre Teilhard de Chardin s.j.
 
 
             IL CRISTICO

 Nota introduttiva

E’ questo testo l’ultima riflessione di Teilhard de Chardin, pochi giorni prima della sua morte,avvenuta, come sapete, nel giorno di Pasqua del 1955.
Questa riflessione, che consiglio  ad ogni cristiano di leggere,  riguarda esclusivamente il Cristo, che è la quintessenza di tutta la visione teilhardiana.
E’ possibile trovare il testo completo nell’opera: Teilhard de Chardin: Il Cuore della Materia,  Queriniana Editrice, 1998, pag.67- 86.
E’ un testo straordinario quale solo i grandi uomini di fede e i mistici  come Teilhard sono capaci di scrivere,  frutto della sua  intensa vita vissuta immersa perdutamente in quella del Cristo Redentore.
Quialche anno  prima di morire, Teilhard scriveva  una lettera a Jeanne Mortier, che sarebbe diventata la sua legata testamentaria: “ Questo straordinario Cristico: non vorrei morire prima di averlo espresso più o meno come l’intravedo, con uno stupore che non smette di crescere”
Ed infatti IL CRISTICO venne finito nel marzo del 1955.
Il 9 febbraio del 1955 Teilhard scriveva  ancora a Jean Mortier: “ Comincio  decisamente il Cristico, senza ben sapere il tono e l’andamento che  la cosa assumerà.  Preghi perché io faccia meglio che possa – perché venga il suo Regno”.
Il Cristico è diviso in 4 capitoli più l’Introduzione e la Conclusione.
I capitoli sono:
Introduzione: l’Amorizzazione dell’Universo;
  1. La Convergenza dell’Universo;
  • l’Emergenza del Cristo;
  • L’Universo Cristificato
  • a- Consumazione dell’Universo mediante il Cristo
    b – La consumazione del Cristo mediante l’Universo
    c – L’Ambiente Divino
          4    La Religione di Domani
      Conclusione: Terra Promessa
    Dalla lettura di questo testo traspare condensato tutto l’amore per il Cristo e  tutta la sofferenza ( per non essere stato compreso) della sua vita e preannuncia , in qualche modo, l’imminente abbandono della vita terrena.
    Ma è anche  sentendosi solo la sua fede in Dio e nel Mondo rimane salda e “vede” la Diafania che ha impregnato tutto e “sa” che la sua visione diverrà l’orizzonte di un numero sempre più crescente di persone nel Mondo.: Infatti Egli dice: “Basta, per la Verità, apparire una sola volta, in una sola mente, perché nulla possa mai più impedirle d’invadere tutto e d’incendiare tutto”.
    Non posso  pubblicare tutto il testo perché è lungo, ma nell’invitarvi a leggere e meditare il testo voglio almeno pubblicare il capitolo finale del Cristico: Terra Promessa.


                      IL CRISTICO
    ………….
    Conclusione: Terra Promessa


    L’Energia che diventa Presenza….
    E pertanto la possibilità  che si scopre, che si apre all’Uomo, son solo di credere e di sperare, ma (cosa ben più inattesa e preziosa!) d’amare, coestensivamente e coorganicamente, assieme all’intero passato, anche il presente ed il futuro d’un Universo in corso di auto concentrazione….
    Sembrerebbe che un solo raggio d’una siffatta luce, cadendo come una scintilla in un qualsiasi punto della Noosfera,  dovesse provocare un’esplosione abbastanza forte da incendiare e rinnovare quasi sull’istante la faccia della Terra.
    Allora, per quale motivo, guardando attorno a me ed ancora tutto inebriato di ciò che mi è apparso, io mi trovo quasi solo della mia specie? Solo ad aver “visto”…  incapace pertanto, quando me lo si chiede,  di citare un solo autore, un solo scritto, in cui si riconosca, in termini chiari, la meravigliosa “Diafania” che, per il mio sguardo, ha trasfigurato tutto?
    E, soprattutto, per quale motivo, “sceso dalla montagna”, e nonostante la magnificenza che riempie i miei occhi, io mi ritrovo così poco migliorato, così poco pacificato, così incapace di far passare nel mio agire, e pertanto di comunicare effettivamente agli altri, la meravigliosa unità in cui mi sento immerso?...
    Il Cristo Universale? L’Ambiente Divino?...
    Tutto sommato, non sarei  forse  soltanto la vittima di un miraggio interiore?...
    Ecco ciò che spesso mi domando.
    Ma ecco pure ciò contro cui, dal fondo di me stesso, ogni volta che mi assale il dubbio, tre successive onde d’evidenze insorgono, - spazzando via dalla mia mente il falso timore che il mio “Cristico” possa essere una semplice illusione.
    Dapprima l’evidenza della “coerenza” che questo ineffabile Elemento ( o Ambiente)  stabilisce nel più profondo del mio pensiero e del mio cuore.  Certo ( e lo so anche troppo…), nonostante l’ambizioso splendore delle mie idee , rimango, in pratica, in uno stato d’imperfezione che mi preoccupa.  A dispetto  delle  pretese della sua formazione, la mia fede non realizza in me altretanta carità reale, altrettanta calma fiducia che,  nell’umile persona inginocchiata accanto a me,  produce il catechismo che insegnano ancora ai bambini.  Ma so anche che questa Fede raffinata, che uso così male,  è l’unica che io possa sopportare, l’unica che mi soddisfi, - e persino (non posso dubitarne) l’unica che sia capace di bastare ai “ carbonai” ed alle “comari” di domani.
    Evidenza, poi,  della “potenza contagiosa” d’una forma di Carità in cui diventa possibile amare Dio non solo  “con tutto il corpo e tutta l’anima”, ma con tutto l’Universo-in-Evoluzione.  Ho testè confessato la mia attuale impossibilità di citare una sola “autorità”  (religiosa o laica) , in cui potessi riconoscermi totalmente, sia dalla parte “visione cosmica” che dalla parte “visione cristica”.  Eppure come non sentir vibrare attorno a me (anche solo dal vedere come “le mie idee”  si diffondono) la massa di tutti coloro – dai confini dell’incredulità sino al fondo dei conventi –pensano, sentono, o almeno presentono proprio come me? – Coscienza riconfortante, in verità, di non scoprire nulla da me, ma di risonare molto semplicemente a ciò che necessariamente ( dato un certo stato del  Cristianesimo e del Mondo) vibra dovunque nelle anime che mi circondano.  E pertanto coscienza esaltante di non essere né me  né solo, - ma d’essere una legione – ma d’essere persino “tutti”, nella misura  in cui riconosco,  palpitante nelle mie profondità, l’umanità di domani.
    Evidenza, infine della “superiorità” (seppure ad un tempo “l’identità “) di ciò che vedo rispetto a ciò che mi è stato insegnato.  Per la loro stessa funzione, né Dio che ci attira può essere meno perfetto, né il Mondo con cui evolviamo può essere meno stimolante di quanto lo concepiamo e di quanto ne abbiamo bisogno.  In un caso come nell’altro ( a meno d’ammettere una positiva disarmonia nella stessa stoffa delle Cose), la verità si trova nella direzione del grado massimale, - Ora, abbiamo visto in precedenza, è nel “Cristico” che, nel nostro secolo, il Divino raggiunge il fastigio dell’adorabile, e l’Evolutivo il sommo potere d’attivazione. – Allora che cosa concludere, fuorchè riconoscere che, proprio da quella parte, inevitabilmente, l’Umanità propende e, presto o tardi, s’unificherà?
    Ed ecco che, questa volta si spiegano molto naturalmente il mio isolamento e la mia apparente singolarità.
    Dappertutto sulla Terra, in questo momento, in seno alla nuova atmosfera creata dall’apparizione dell’idea d’evoluzione, fluttuano in uno stato estremo di reciproca sensibilizzazione l’amore di Dio e la fede nel Mondo: la due componenti essenziali essenziali dell’Ultraumano.
    Le due componenti sono dovunque “nell’aria”, ma in genere non abbastanza forti, “tutte due insieme” per combinarsi l’una con l’altra,  “in uno stesso individuo”.  In me, per puro caso (temperamento,educazione,ambiente…)  la proporzione dell’una e dell’altra trovantesi favorevole, la fusione si è operata spontaneamente, - troppo debole ancora per propagarsi esplosivamente – eppure sufficiente per accertare che la reazione è possibile e che, “un giorno o l’altro, la catena si stabilirà.
    Prova nuova che basta,  per la Verità, apparire una sola volta, in una sola mente, perché nulla possa mai più impedirle d’invadere tutto e d’incendiare tutto-

    Pierre Teilhard de Chardin s.j.
    New York, marzo 1955
    .














































     

    venerdì 11 gennaio 2013

    MATERIA  EVOLUZIONE   SPERANZA

    Pensando al  Duemila….

    (sintesi della relazione tenuta dal Prof. Lucio Lombardo Radice al Convegno tenutosi a Firenze, presso l’Istituto Stensen,  in occasione del centenario della nascita di Pierre Teilhard de Chardin s.j.  , il 25 aprile 1981)

    La planetizzazione di tutti i problemi è motivo fondamentale, continuamente ricorrente, del pensiero di Teilhard de Chardin; si può ben dire per quaranta anni dagli scritti che precedono la prima guerra mondiale, fino agli ultimi.  C’è, innanzitutto, la constatazione della “planetizzazione come fatto: il più semplice e modesto contadino, isolato in campagna”, non può  ormai più vivere senza “  tenere conto, e preoccuparsi ad ogni istante,  di New York, di Mosca o della Cina”. Ma c’è anche la planetizzazione come problema, e come problema nuovo, inedito, di qualità diversa da tutti i precedenti.   Infatti, “l’umanità sembra arrivata al suo punto critico di socializzazione”,  perché le scelte che fa oggi l’uomo hanno ripercussioni su “miriadi di esseri viventi”.
    Di più, Teilhard prende in considerazione tutti i possibili sbocchi del processo di planetizzazione, dal catastrofico “suicidio” al “prodigioso avvenire umano”.  Ora, mentre la consapevolezza della “globalità dei problemi” è andata aumentando dopo la morte di Teilhartd, del tutto insufficiente appare l’impegno prospettico, ideale, teorico della cultura nei loro confronti.  Ad un catastrofismo ecologico occidentale  talvolta oratorio  (Roger Garaudy nell’ultimo suo, per molti aspetti valido,  “Appello ai viventi”), tra l’altro fondato su calcoli privi di dialettica, si contrappone un perdurante  ottimismo tecnologico da parte dei più autorevoli futurologi sovietici (si legga “Identikit del 2000” di Eduard Arab Ogl) .  La sinistra marxista non dogmatica tedesca ha compiuto la elaborazione più importante: Robert Havemann,  ma specialmente Rudolph Bahro hanno correttamente posto il problema di nuove grandi ipotesi di sviluppo non consumistico della economia, e quello di un nuovo blocco storico capace di creare tale nuovo orientamento  (interessante notare che la richiesta di una nuova politica di fronte ai rischi di catastrofi ecologiche viene in Germania anche dal moderato Gruhl).
    Tuttavia la crescente incapacità tanto di egemonia quanto di collaborazione costruttiva delle massime potenze mondiali, la riduzione, a livello della coscienza delle masse, degli incombenti problemi planetari a miti,  a semplificazioni (energia atomica si o no); la crisi dell’internazionalismo operaio e democratico; il riemergere e l’esplodere di culture oppresse o dimenticate in forme “fanatiche” –tutto questo intreccio di fenomeni impone un salto di qualità dell’interesse degli intellettuali-politici e dei politici-intellettuali nei confronti dei problemi globali, planetari.  L’attualità del pensiero di Teilhard. Sulla planetizzazione non è, e non può essere, di contenuti; sta nel suo orientamento generale.  Potremmo riassumerlo
    così: “ convergenza verso una unità sempre più piena nel perdurante pluralismo delle culture”.
    Dopo i tre grandi periodi della evoluzione naturale, della ominizzazione, della umanizzazione, il “processo biologico attualmente in corso consiste nella elaborazione di una coscienza umana collettiva”.  Una nuova evoluzione, che è insieme in avanti e verso  l’alto: una “marcia verso l’improbabile”, verso il sempre più organizzato, e quindi contro la tendenza del  mondo lasciato a  se stesso verso un disordine crescente.
    Questa idea grandiosa della “convergenza planetaria di diversi” che tali restano, in una “terra che si contrae a vista d’occhio”, ha come retroterra personale il “vissuto” di Teilhard de Chardin in diversi Continenti, a contatto con  le diverse grandi religioni e civiltà, la sua esperienza di fede cristiana aperta alle  idealità del socialismo e al  movimento operaio
    Di più, la ispirazione  del gesuita scienziato è di fede cristiana, L’avvenire terrestre nei secoli futuri è il compimento di Cristo, del Cristo Evolutore e Redentore insieme.
    Il “linguaggio” di Teilhard de Chardin, spesso carico di neologismi di stampo mistico, o di teismo animistico, ha respinto e respinge molti liberi pensatori che pur potrebbero trovare alimento importante alle loro elaborazioni, del tutto “laiche”, nella “sostanza” della visione del mondo del gesuita francese.  (Abbastanza tipico l’atteggiamento di Jacques Monod, colpito dalla “mancanza di rigore e di austerità intellettuale” di Teilhard).
    Mi pare che si debba invitare i liberi pensatori che rimangono infastiditi da una ispirazione di fede a ricordare le parole di Giovanni XXIII nella “Pacem in Terris che esortava a cercare importanti verità dentro l’involucro di false filosofie.
    L’umanista ateo moderno rimane impoverito se esclude i testi di Teilhard dai libri che lo formano, lo orientano, talvolta lo guidano.  A tanti atei che si proclamano umanisti,, e che tali si sforzano di essere, possono essere d’esempio i molti, i moltissimi umanisti cristiani che non hanno esitato a far entrare nel loro patrimonio culturale, politico, etico, l’ateo Karl Marx, non certo in quanto ateo,  ma,  perché, pur partendo da una ispirazione atea, aveva scoperto verità importanti per tutti.
    Teilhard de Chardin non deve appartenere solo al pensiero cristiano innovatore e progressista; la sua esperienza di una evoluzione verso l’alto, di una umanità convergente pur nella sua irriducibile  diversità, può e deve essere un’idea-forza anche di chi non crede al Regno, al punto Omega.
    LUCIO LOMBARDO RADICE
     (sintesi pubblicata sull’Unità del 28 aprile 1981)






























     
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      Marrio BLAsi
    Ricetta per la felicità


     
     
    Il titolo di questo breve discorso non vuole essere ironico: soprattutto non lo vuole, perché di un P.Teilhard de Chardin (e di un particolare aspetto del pensiero di lui che qui intendiamo occuparci)  sarebbe ingiusto e irriverente parlare con spirito meno che serio.
    Quale è, dunque, per questo “gesuita proibito - - come lo chiama Giancarlo Vuigorelli nel suo perspicace ed interessante studio sulla vita e l’opera dell’insigne religioso – la ricetta per la felicità?
    La si può compiutamente vedere nelle “ Reflexions sur le bonheur”, di cui lo stesso Vigorelli ci offre in italiano il testo integrale (nel numero 9-10 della rivista Europa Letteraria, giugno-agosto 1961 pag. 18-35. Il testo si trova oggi anche nel volume : Pierre Teilhard de Chardin, Le Direzioni del Futuro, SEI Editrice, Torino, 1996, pag. 131 -158. Il tersto può essere letto anche sul sito www.riflessioni.it . N.d.r.), non perché sul piano ideologico di Teilhard  esso costituisca uno scritto di primaria importanza (trattasi di una conferenza da lui tenuta a Pechino,  nel 1943, davanti ad un pubblico mondano, occasionale),  ma perché particolarmente atto a introdurre nel pensiero e nel linguaggio del battagliero gesuita,  il cui principio fondamentale e che “ la stessa fede in Dio – come si esprime Vigorelli – e  incompleta, se non ha dietro di sé la fede nell’uomo;  e che credere  nell’uomo vuol dire determinare,in ogni direzione e dimensione,  il progresso”.
    Se non che, poter dire “ecco la ricetta per la felicità”, comporta  come è ovvio, poter prima stabilire che cosa sia la felicità: problema che, se pur non teorizzato, deve aver sempre messo in turbamento profondo l’animo dell’uomo, finchè presentato non si fu chiaramente, e con tutta la sua urgenza, alla  mente di Socrate.  Ed è proprio il nome di Socrate che ci piace qui fare, perché anch’egli, in certo modo, col suo noto asserto che la felicità “è vita secondo scienza” , parrebbe quasi anticipare  l’atteggiamento di Teilhard, seppure il filosofo greco, nel suo tentativo di definire “oggettivamente”  tanto la felicità quanto la scienza, si trovasse chiuso in un circolo.  In che consiste, si chiedeva egli infatti, la felicità?  Nella virtù.  E questa? Nella scienza.  Ma che cosa è la scienza? Conoscenza della virtù…
    L’avvenimento, ora che abbiamo osato, tra Socrate e Teilhard, parrebbe affatto arbitrario:  ma un certo punto di incontro,  come accennavamo,  nell’atteggiamento dell’uno e dell’altro rispetto al problema della felicità, lo si può, a nostro avviso,  riconoscere:  quello, si vuol dire, di una cieca fede nella “scienza”: ( né importa se la scienza biologica del secondo ben poco abbia a che fare con la “episteme” dell’altro)
    Fede nella scienza, dunque, e, in Teilhard, fede anche, si sa, nella  “fede”: entrambe tetragone.  Tale è la posizione del “gesuita proibito”: ed è la prima fede, che maggiormente lo induce verso quell’euforico ottimismo, che,  certamente non è  l’unico o principale volto del pensiero cristiano,  Perché, mentre Socrate, in fondo, il problema della felicità – anche se in sommo grado -  lo risolve per suo conto, De Chardin è più convinto di poterlo risolvere per sé e per ognuno: solo che ognuno sappia e voglia appoggiarsi – contro ogni invito pascaliano o kierkegaardiano – all’insegnamento della Scienza e della Biologia, al credo, in una parola, evoluzionistico.
    Tre tipi di Uomo, egli osserva, si possono distinguere rispetto al problema della felicità:  gli “stanchi”, i “buontemponi”, gli “ardenti”.  Per  i primi, esistere è uno sbaglio, un fallimento, meglio, dunque, non essere.  Per i secondi, invece è meglio essere, purchè ci si appigli al sapore d’ogni suo frutto , al carpediem,  tendenza che,  dall’antico edonismo di Epicuro  non ha mai cessato, sostanzialmente, di mostrarsi allettevole sino ai nostri giorni, sino a un Paul Morand, a un Montherlant e, in forma assai più sottile, ad un Gide, (quello di Nourritures terrestres) .  Per  gli ultimi, infine,  per gli “ardenti”, i quali vedono nella vita una continua ascensione, una perenne scoperta, la felicità consiste nella possibilità di scalare vetta dopo vetta verso la Terra di Domani.
    Or non è che qui si osi, neanche lontanamente,  sfiorare la questione della possibilità di una conciliazione tre l’Origine della specie (per intenderci in breve) e la fede cattolica: solo bastando – a noi profani -  dir questo:  sembrarci di palmare evidenza, una volta ammessa l’esistenza di una Verità unica (il rinascimentale criterio della doppia verità, a nostro avviso, ebbe carattere troppo opportunistico) non poter esservi conflitto tra scienza e religione, pena la falsità dell’una e dell’altra “ La vita – scrive Teilhard – progredisce metodicamente, iirrevocabilemte, verso stati  di coscienza sempre più elevati”.
    Questa è la sua certezza: ond’è che, stare a discutere (e sono secoli e secoli che di ciò di discute) quele debbe essere il nostro atteggiamento migliore di fronte alla vita, è come se, viaggiando su un rapido Parigi Marsiglia, ce ne stessimo  ancora a ragionare  circa la convenienza di andare al Nord o al Sud…
    D’accordo: ma poi che il supremo insegnamento del Cristianesimo, oggi, sul piano morale, è, si potrebbe dire, accettato da tutti,.credenti e non credenti (“perché non possiamo non dirci cristiani”9, parrebbe che il ricorso di Teilhard alla teoria dell’evoluzione, per meglio convincere l’uomo in genere,  cioè comune, a cercare la sua felicità (“felicità di crescita”, come egli la chiama) nel continuo superamento, in ogni direzione e dimensione, di se stesso, dovesse essere, se non d’impaccio, per lo meno non giovevole alla immediata intuizione di una verità, la quale indubbiamente meglio si presta ad essere colta nell’area della relazione e della socialità, che in quella della scienza e della biologia.
    Anche Socrate (per ribadire quanto s’è accennato) opinava di poter condurre l’uomo verso il vero bene per mezzo del suo “intellettualismo etico”, ma in effetto, più del suo magistero “scientifico”, fu l’esempio di tutto il suo vivere che  potè largamente convincere come solo nell’operare virtuoso consistesse il vero bene, ossia la felicità.
    A proposito della quale, vorremmo anche dire che essa viene  sovente – ma erroneamente –identificata col piacere, come dall’altro lato col suo opposto, il dolore, viene identificata l’infelicità..
    De Chardin, dal canto proprio, con la distinzione che fa tra “felicità di tranquillità” (quella degli “stanchi”), “felicità di piacere” (quella dei buontemponi”) e la già vista “felicità di crescita” (quella degli  “ardenti” ),  parrebbe voler evitare (diciamo: parrebbe, e ne vedremo il perchè) la pur diffusa confusione.  
    Io posso trovarmi, infatti, in uno stato di dolore ed essere felice.  Felicità e infelicità sono, vorremmo dire, come  ottimismo e pessimismo, due costanti fondamentali dello spirito, sulle quali dolore e piacere sogliono strisciar via a guisa di nembo su plaga ferace, o di zeffiro su landa riarsa, attenuandone rispettivamente, di volta in volta, la carica, ma senza, almeno generalmente, cambiandone natura..
    E in che cosa potrebbe mai consistere la felicità se non nell’amore?  E in che cosa la felicità, se non nella impossibilità, giustappunto, di amore?  L’infermo, pertanto,non sono gli altri, l’inferno siamo noi.
    Teilhard, cristiano, celebra ed esalta, come è ovvio, la sublime importanza della Carità.  Ma c’è su questa un suo pensiero – estraneo alle “Reflexions” – che indubbiamente ne scema l’assoluta sovranità, e non ci pare di poter quindi condividere.
    Eccolo: “ La Carità è unitiva, ma in sé stazionaria”.  Stazionaria?  Non è, la sua potenzialità inesauribile come ogni altra potenzialità dello spirito ?  Neanche la pace  - che pur sembrerebbe equivalere a una sorta di beata stasi – neanche la pace – che pure è la prima destinata a chi vive essa Carità, e  certamente costituisce la suprema, unica felicità attingibile in terra – subisce a vedere bene, qualsiasi minimo arresto.  Pensare pertanto, come Teilhard pensa, che il perfezionamento naturale dello spirito, vale a dire la conquista della felicità, non si ottenga nella sua pienezza se non con lo sforzo combinato di ogni Scienza, di ogni Estetica, di ogni Morale, e così via, parrebbe dover rendere la già difficile marcia verso la felicità tanto più difficile e quindi non da tutti, anzi da pochissimi, condotta a fondo.
    Né questo manca di avvertire lo stesso De Chardin, se crede necessario prevenir subito l’obiezione – che potrebbe essergli rivolta – così: “Il che non porta, rassicuratevi, a compiere delle cose importanti, straordinarie ( aveva egli infatti, pochi attimi prima, ricordati i Curie,Termier, Nansen, gli insigni pensatori, in una parola, della civiltà) ma soltanto, e tutti lo possono, a fare grandemente la più piccola cosa, appena divenuti consapevoli della nostra solidarietà vivente con una grande Cosa.  Aggiungere un esiguo punto al magnifico richiamo della Vita, distinguere l’Immenso che sta e ci attira al centro e al termine delle nostre  attività più dimesse: questo è alla fine il grande segreto della felicità”.
    Ora, qui, sia ben chiaro, non è che si voglia in alcun modo ironeggiare, più o meno leopardianamente, su “le magnifiche sorti e progressive “, e neanche mettere in dubbio la sacralità della forza che le promuove (anche se poi distorte – basti pensare allo spettro H  - dal loro altissimo fine), ma ci sembra che quella coscienza di “solidarietà vivente con una grande Cosa”, di sapore prettamente scientifico, non possa essere conseguita – come sopra si diceva – se non da pochissimi.  Come attingerla, infatti, se non attraverso quell’iter, che i pionieri per l’appunto, sieno pur modesti, della civiltà, soli riescono a percorrere?
    No: la vera felicità (da non confondere neppure – e così chiarifichiamo la riserva da noi fatta circa la sopra citata “felicità di crescita” – con la “soddisfazione”, con la “gioia” di chi scopre, di chi inventa) la vera felicità non può non essere che per tutti: per i grandi non meno che per gli umili, per gli scienziati non meno che per gli ignari, i quali intendono la Carità, semplicemente, come amore di dio e del prossimo, e non certo come amore altresì dell’Universo nel suo perenne divenire, cioè  veduto alla luce di ogni ultima conquista della Fisica e della Biologia.
    Ora non è, si capisce, che la via della felicità, per il “Darwin cristiano”, possa allontanarsi di un minimo  di quella indicata da Chi disse di sé: “Io sono la  Via, la Verità, la Vita”.  Ma questa pertinace fatica di lui (persino commovente) tesa ad abbinare (stavamo per scrivere puntellare) l’insegnamento di Gesù con quello dell’Evoluzionismo, parrebbe essere cosa assai pericolosa o per lo meno supeflua.

    Mario Blasi
    Città di Vita 1965



     
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