sabato 19 gennaio 2013

 

GIU’ LE  MANI  DA  TEILHARD

                 di Rodolfo Righetto

Sbagliato farne un adoratore del futuro. I Cybernauti lo proclamano patrono di Internet, i seguaci della New Age se l’annettono snaturandone il messaggio.


Il patrono di Internet? Ma è Teilhard de Chardin, il teologo probabilmente più citato da guru e manovratori della rete. Ecco cosa scrive l'astrofisico Jean-Pierre Luminet, nel portale d'accesso del Cnrs: "Con Internet la ben nota "coscienza planetaria", tanto spronata da precursori come Teilhard de Chardin, diventa palpabile...". Il grande paleontologo francese morto nel 1955 e del quale si fa una gran fatica a reperire gli scritti, almeno nel nostro Paese (tranne la meritoria opera dell'editrice Queriniana, che negli anni scorsi ha pubblicato diversi volumi fra cui il ben noto Il fenomeno umano), avrebbe formulato la teoria di una "mente planetaria", o addirittura di una "rete nervosa planetaria" che affascina e trova molti estimatori nel mondo dei cybernauti o dei filosofi dei media come Derrick de Kerckhove, il più noto discepolo di Mac Luhan (Lo fa notare Carlo Formenti nel suo libro appena uscito da Cortina Incantati dalla rete in un capitolo dedicato appunto a Teilhard). Ma l'autore dell'Ambiente divino viene sempre più accreditato anche come profeta del New Age, tanto da costringere l'"Associazione degli amici di Teilhard" che ha sede in Francia a diffondere sul suo sito Internet alcuni interventi che contravvengono questa tesi. Come quello di padre Gustave Martelet, che sottolinea una differenza essenziale: "Il Dio del New Age (se c'è un Dio) è un Dio cosmico, anzi un cosmo divinizzato, mentre il Dio di Teilhard è il Dio del cosmo, il Padre del cosmo". È inammissibile perciò annettere il pensiero di Teilhard de Chardin a un religiosità così vaga e confusa come quella del New Age, fatta di "un sincretismo di auto-produzione dell'uomo", di "un pelagianesimo della natura", di "una religiosità planetaria e atea", di "un universalismo totalmente immanente", di "un misticismo post-cristiano dove l'altro, o gli altri semplicemente rimpiazzano l'Altro, l'Assoluto". Conclude seccamente Martelet: "Non facciamo di Teilhard un garante del New Age". Ma l'operazione di chi tenta di accostare Teilhard al New Age fa leva su un elemento non secondario, il panteismo, di cui proprio il gesuita-scienziato fu più volte accusato. Sempre sul sito degli "amici di Teilhard" è possibile leggere un'intervista da lui rilasciata nel 1951, pochi anni prima di morire, in cui egli rigetta totalmente l'ipotesi di essere panteista. "Dapprima, mi hanno considerato un ottimista o un utopista beato, un sognatore di uno stato d'euforia umana in un qualche futuro. Poi, cosa più grave ancora, si va ripetendo che sono il profeta di un universo che distrugge i valori individuali.
In verità, la mia più grande preoccupazione è stata quella di affermare che l'unione fra l'uomo e Dio, fra l'uomo e l'altro uomo, fra l'uomo e il cosmo non annulla mai la differenza. Io mi trovo agli antipodi sia di un "totalitarismo sociale" che porta al termitaio sia di un "panteismo induizzante" che conduce ad una fusione e un'identificazione fra gli esseri".
Parole assai chiare. Così come quelle di padre
Lepoutre, in un altro intervento diffuso sulla rete: "Teilhard non è un panteista sulla linea delle religioni orientali o dello stoicismo antico: per lui c'è sempre un Qualcuno che attira tutto e tutti a sè". Lepoutre ricorda poi come Teilhard non ha mai avuto nessun interesse verso l'astrologia, la parapsicologia o lo spiritismo, come invece vuole la nuova vulgata del bricolage religioso d'inizio millennio.
E tantomeno verso le teorie della reincarnazione, così presenti nel New Age.
Ma se il cybermondo da una parte e il New Age dall'altra tendono ad annettersi Teilhard, si può constatare anche nel pensiero cristiano una nuova attenzione? Sì e no. A una lettura attenta s'impongono segnali contrastanti.
Alcuni incoraggianti, come la ripresa della rivista semestrale Il futuro dell'uomo, diretta da
Fabio Mantovani e ora pubblicata dall'editore Il Segno dei Gabrielli di Verona (tel. 045/7725543). Lo stesso editore sta poi per dare alle stampe il volume L'orizzonte dell'uomo, che presenta un'accurata raccolta di pensieri teilhardiani. L'editrice milanese Ancora da parte sua manda in libreria uno studio del gesuita americano Robert Faricy sul pensatore francese. Infine, la rivista teologica internazionale Concilium, che dedica il suo ultimo numero al tema "Fede ed evoluzione", contiene anche un contributo dello zoologo Lodovico Galleni con alcune riflessioni sull'escatologia di Teilhard, in cui emerge che la prospettiva finale del "punto Omega", identificabile con la seconda venuta di Cristo, per Teilhard dev'essere in qualche modo preparata dall'uomo, in un cammino evolutivo ove il progresso umano rischia di coincidere con la storia della salvezza. Che Teilhard non sia molto di moda fra i cattolici l'aveva notato anche padre Xavier Tilliette, un anno fa, in un saggio apparso sulla rivista dei gesuiti Civiltà cattolica. Per Tilliette la fine del secolo non sembra molto favorevole all'autore del Fenomeno umano. I successi della scienza si accompagnano oggi a gravi preoccupazioni: "Il suo coraggioso ottimismo è fuori stagione, la sua filosofia pecca per eccesso. La sua fiducia nella scienza è messa a dura prova". In realtà, annota ancora Tilliette, le idee di Teilhard sono ben lungi dall'aver fatto fortuna, salvo in alcuni passi della Gaudium et spes. Contrariamente a quanto sostengono i maitres-à-penser del virtuale, temi come la divinizzazione dello sforzo umano, la rete comunicativa sempre più stretta, la coscienza planetaria e l'unificazione dell'umanità appartengono agli aspetti più friabili e caduchi del pensiero teilhardiano.
Anche la tendenza a canonizzare un'iperfisica resta un punto debole dell'impianto teilhardiano, peraltro già denunciata a suo tempo dall'amico padre
Henri de Lubac, che pure lo difese strenuamente dalla persecuzione della Chiesa. A parere di Tilliette invece "oggi bisogna prendere molto sul serio l'apporto teologico di Teilhard, l'impulso che egli può dare alla cristologia, che era il suo punto di partenza". Elementi già rilevati da von Balthasar e Rahner (che aveva riprodotto la preghiera di Teilhard per la buona morte sull'immagine-ricordo di sua madre) ma poco studiati. E la cristologia di Teilhard è quella di Paolo e Giovanni, ma soprattutto dei Padri greci. Lo sottolinea un saggio di Nynfa Bosco sul numero appena uscito della già citata rivista Il futuro dell'uomo: l'idea che la creazione sia da intendere come incarnazione continuata e progressiva e che la salvezza riguardi anche il cosmo è presente in tutti i Padri greci dei primi secoli, da Gregorio di Nazianzo a Giovanni Crisostomo e a Massimo Confessore. Ad una teologia "mistica" che tendeva ad unire il divino e l'umano, lo spirito e la materia, la cristianità d'Occidente preferì una teologia più razionale ("dal simbolo alla dialettica", come scrisse de Lubac). L'Oriente invece è rimasto fedele alla sua tradizione come dimostrano i teologi russi del '900: e qui la studiosa rileva le numerose analogie tra Teilhard e Florenskij, il pensatore ortodosso martirizzato alle Solovki. Problemi come il dolore e il male non sono rimasti estranei alla riflessione di Teilhard: semmai restano come in sospeso, senza una soluzione definitiva. Ma va anche ricordato, a chi lo vuole incapsulare forzatamente fra "gli adoratori del futuro", che egli ha previsto anche l'insuccesso dell'evoluzione. La sua amicizia con lo scrittore Robert Hugh Benson, l'autore di fantascienza religiosa noto soprattutto per Il padrone del Mondo, un romanzo sulla fine dei tempi ove un Anticristo dal volto umanitarista (come in un testo analogo del filosofo russo Solov'ev) sembra prevalere sull'ultimo sparuto gruppo di cristiani rimasto, fino al ritorno finale di Cristo, sarebbe in questo senso da esplorare. Ma Teilhard ha anche scritto pagine severe sull'inferno e sui dannati. Per dirla ancora con Tilliette: "Non ha affatto minimizzato la sofferenza e la morte, non ha strappato il loro dardo, anzi, ha conosciuto il prezzo dell'inazione della quale la sorella preferita, Margherita Maria, immobilizzata dall'infermità, era la vittima e l'ostia".

Roberto RIGHETTO
Avvenire 18 aprile 2000
 
 
 

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