domenica 6 gennaio 2013

 

Matteo Santin

 

La sofferenza trama della relazione

“Scrivo queste righe per esuberanza di vita e per bisogno di vivere; per esprimere una visione appassionata della terra, e cercare una soluzione alle perplessita’ della mia azione;...Il mio punto di partenza sara’ il fatto ‘iniziale’, fondamentale, che ciascuno di noi, volente o nolente, e’ legato dalle sue fibre materiali, organiche, psichiche, a tutto cio’ che lo circonda. Non e’ soltanto catturato in una rete, ma e’ trascinato da un fiume. Attorno a noi, da ogni parte, appaiono legami e correnti. Mille determinismi ci incatenano, mille eredita’ pesano sul nostro presente, mille affinita’ subite ci dislocano e ci sospingono verso una meta ignota... Nel tempo e nello spazio, siamo per cosi’ dire piu’ fuori di noi che dentro di noi, al momento preciso in cui viviamo. La persona, la ‘monade’ umana, come qualsiasi monade, e’ essenzialmente cosmica”.
Con queste parole Pierre Teilhard de Chardin apre uno dei piu’ belli tra i suoi scritti: La Vita Cosmica. Queste parole ci mettono alla corda. Leggendole nessuno di noi puo’ negare il mistero in cui viviamo; quel mistero per cui il fascino della vita e’ intrinsicamente mescolato alle sue difficolta’, ai suoi pesi e, in vero, alle sue sofferenze. Piu’ in la’, nello stesso libro, Teilhard rivendica il valore della “vaga nostalgia per un qualche cosa che e’ celato in noi, cha va al di la’ di noi e che rappresenta il nostro punto di perferzione...Se l’uomo vuole diventare veramente se stesso, deve prendere coscienza dei suoi infniti prolungament, degli obblighi che essi impongono e dell’ebrezza che procurano”.
Come tutti i grandi mistici Teilhard riesce a cogliere l’essenza di questo mistero di vita. Se da un lato la relazione ci affascina, ci attrae e ci appare come l’unica ragione di vita, dall’altro ci pesa, ci mette alla prova, ci lacera, , ci porta ad essere per lo piu’ “fuori di noi che dentro di noi”. La relazione pesa all’uomo nella sua esistenza ‘ibrida’ di essere al tempo stesso animale e razionale, istintivo e amorevole. Se e’ vero che l’uomo e’ la cellula da cui origina la Noosfera, la rete di relazioni e pensieri, e’ anche vero che il suo patrimonio genetico e’ inscritto nella Biosfera, quella massa brulicante di esseri che popola il pianeta governata dal principio di sopravvivenza della specie. L’uomo e’ provato dalla relazione perche’ in essa la sua identita’ e visione di vita sono messe in discussione dall’altro. L’uomo e’ lacerato dalla relazione perche’ “l’azione dell’altro in noi si manifesta di piu’ nella sofferenza che non nel godimento, ed anche la felicita’ che ne risulta” (Teilhard de Chardin, La Sofferenza).
La sofferenza e’ cruda quando in famiglia, nell’amicizia e sul lavoro l’altro ci diminuisce. La sofferenza e’ cruda quando l’altro (amato o sopportato) ci diminuisce in buona fede. La sofferenza e’ cruda soprattutto quando la nostra buona fede e’ interpretata come debolezza, quando le nostre parole sono soppesate e manipolate per essere poi usate contro di noi. Ma la sofferenza e’ insopportabile quando “Hai tu provato, talvolta, che cosa sia non poter amare a sufficienza coloro che ci amano in modo commovente mentre vorremmo a tutti costi amarli” (Teilhard de Chardin, La Sofferenza).
Alla sofferenza della relazione si aggiunge la sofferenza per la nostra condizione di esseri piu’ o meno ‘realizzati’ o piu’ o meno ‘falliti’. Alla sofferenza per la nostra condizione di esseri piu’ o meno realizzati si aggiunge la sofferenza per la nostra condizione di esseri mortali, per il disintegrarsi delle nostre fibre piu’ intime nell’abbraccio della morte.
L’uomo ancor troppo figlio dell’istinto, ancora troppo radicato nella Biosfera, si ribella a queste sofferenze esistenziali. La sua condizione e’ beffarda come quella di Abramo che dopo essersi consumato per raggiungere la terra promessa, muore nel momento in cui arriva alle sue porte senza poterci entrare. L’uomo sta camminando verso la Noosfera, i suoi contorni si delineano dinnanzi ai suoi occhi, ma in maniera crudele in essa non gli e’ dato di entrare, almeno non in pienezza.
Solo al Cristo e alla comunione dei suoi santi (credenti e non credenti) la vera chiave di accesso al nuovo Regno viene donata: “Nel corso della sua Passione, Gesu’ ha sentito gravare sulla sua anima, abbandonata e affranta, il peso di tutti i dolori umani in una prodigiosa e ineffabile sintesi. Li ha tutti assunti, sperimentati...E, introducendoli nel campo della sua coscienza, Egli li ha trasfigurati” (Teilhard de Chardin, La Sofferenza). Attraverso Cristo all’uomo e’ dato di capire “che, per lui, non v’era modo piu’ efficace di progredire se non quello dell’utilizzo dell’orribile e repellente dolore” (Teilhard de Chardin, La Sofferenza).
E’ forse tempo di chiedermi se non sia proprio nella mia coscienza di credente o di  non credente che devo trovare una soluzione tra la contraddizione costante che nasce tra il “mio entusiasmo per collaborare ad un’opera, ad una Realta’, piu’ duratura di me” (Teilhard de Chardin, La Sofferenza) e il senso di diminuizione e di dolore che pago come inevitabile pegno per questo entusiasmo.
E’ forse tempo di chiedermi se non sia proprio nella mia coscienza, nelle mie azioni e sulla scena che mi e’ stata preparata che io debba mettermi alla sequela dell’uomo della Passione e della sua ‘Ricerca nel Mondo’.
Iniziata in una disposizione di dolce abbandono, poi perseguita con spirito di conquistala Ricerca nel Mondo giunge logicamente ad un amplesso appassionato e doloroso tra le braccia della Croce...Ora, al termine delle esperienze e della lunga maturazione delle proprie prospettive, essa si accorge che nessun lavoro e’ piu’ efficace e pacificante del raccogliere la Sofferenza del Mondo,...nessun atteggiamento e’ piu’ dilatante per essa dell’aprirsi, largamente e teneramente...alla simpatia per ogni Dolore, alla ‘Compassione cosmica’ ” (Teilhard de Chardin, La Sofferenza)
  Matteo Santin
 (tratto da ISAIAH, , n 6 febbraio  2005, sito web: www.isaiah.it)






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