sabato 29 dicembre 2012

                     Tito Arecchi 


   Intuizioni creative di Teilhard




Il mio primo  incontro con  Teilhard de Chardin risale al 1961,quando, ricercatore all’Università di Stanford, leggevo la traduzione inglese del “Fenomeno umano”, coll’introduzione di Julian  Huxley.  Il libro mi era stato suggerito da un collega cristiano non cattolico, che “scopriva” come nel cattolicesimo ci fossero fermenti culturali da lui insospettati. .Poco dopo il teologo cattolico di Stanfors, Fr. Frank Norris, mi regalava “ Ther divine milieu”, l’edizione inglese dell’”ambiente divino”.
Confesso che trovai il primo dei due libri ostico,per la sue sintesi che ritenevo ingiustificate, eretiche per il protocollo usuale della scienza nel cui ambito operavo.  Il secondo mi apriva una prospettiva stupenda: dava un senso non  egoistico al mio mestiere di ricercatore.  Mi ero sempre domandato se, rispetto a un medico o ad uno impegnato in altri servizi sociali, io fossi solo un egoista preoccupato (allora)  a risolvere problemi conoscitivi senza un risvolto utile per gli altri.  Orbene, Teilhard de Chardin indicava come una pura scoperta conoscitiva, priva di apparente utilità, fosse un contributo alla Redenzione, una crescita  del Corpo di Cristo, in quanto aumento di consapevolezza nella sua chiesa.  Per anni mi sono trovato con questo dilemma:  sul piano conoscitivo Teilhard de Chardin era eterodosso sia per la scienza sia per la teologia corrente, sul piano mistico,presentava una prospettiva in linea con Paolo ed Agostino carica di stimoli spirituali, ma apparentemente non conciliabile con i modi di operare della scienza.
Oggi, a 20 anni di distanza, la mia opinione è molto diversa, e molte delle intuizioni di Teilhard de Chardin non sono più per me divagazioni poetiche, ma indicazioni euristiche per un nuovo modo di procedere anche nella scienza.
Con Galileo la scienza si inseriva in una visione tradizionale della realtà con un programma riduttivo di non puntare alle “sostanze” ma alle  “affezioni”, cioè ai fenomeni quali isolati da opportuni strumenti di misura.  Con ciò, le scienze della natura si ponevano come autonome rispetto all’indagine metafisica ma non in contrapposizione, senza alcuna pretesa di interpretazione esclusiva del reale.
Schizofrenia, tuttora non risolta, comincia  con Cartesio, col postulare due sostanze separate, “res cogitans” e “rex exstensa”, due ordini di realtà fra i quali è difficile instaurare punti di contatto.  La scienza si è  costituita come descrizione delle relazioni di contatto in corpi estesi, quindi come una geometria dello spazio-tempo, e – forte dei suoi successi – è arrivata alla pretesa di ritenere irrilevante, privo di valore conoscitivo, ogni enunciato non esprimibile col proprio protocollo.
Negli ultimi decenni  stiamo vivendo una profonda crisi nella scienza, sia nel linguaggio, sia nei suoi contenuti.  Come linguaggio i teoremi di Godel e le analisi di Popper hanno distrutto la pretesa scientista di erigere il linguaggio scientifico ad unica descrizione rilevante del reale.
Come contenuti accenno a due grandi svolte.  La prima riguarda l’esistenza o meno delle particelle elementari.  La materia comincia ad apparire indefinitamente divisibile, ritorna attuale l’obbiezione di  Leibniz sull’estensione.  La seconda, in cui io sono coinvolto come fisico, riguarda  l’insufficienza del modello cartesiano-newtonniano in un universo geometrizzabile nello spazio-tempo, con regole di simmetria che implicano fra l’altro l’invarianza dei fenomeni per inversione temporale.  Il concetto della “freccia del tempo” era stato già introdotto in discesa (cioè nell’irreversibile aumento d’entropia dei sistemi chiusi) di Boltzmann e di Eddimgton.  Lo stesso processo unilaterale, cioè non invertibile, del tempo scandisce in salita passaggi successivi:
                             caos         ordine                complessità
quali osservati in sistemi aperti (vedasi la descrizione dettagliata nella mia monografia:”Caos,ordine e tempo nella fisica di oggi”, prolusione all’A.A. 80/81 dell’Università di Firenze)
Orbene, anticipando di 60 anni queste indagini di laboratorio, e col supporto dei soli dati paleontologici, Teilhard de Chardin aveva introdotto la complessificazione come evoluzione verso forme sempre più organizzate, fino ad arrivare alla coscienza.
I fanatici dell’inferenza induttiva trovarono arbitraria, non scientifica, questa intuizione.  Io credo invece, per esperienza personale, che la scienza progredisca per intuizioni creative, per audaci ipotesi che vanno poi verificate nelle loro conseguenze.  Anche se la formulazione di Teilhard de Chardin era preliminare, senz’altro egli ha anticipato temi di ricerca oggi attualissimi.
Una rilettura della complessificazione alla luce dell’attuale fisica dei sistemi aperti riporta dunque dal piano poetico all’attenzione scientifica, l’opera di Teilhard de Chardin.
Devo confessare di non essere “teilhardiano” nel senso che non leggo la (dei solito logorroica) letteratura interpretativa di Teilhard de Chardin:  Ricordo di aver orecchiato fra le varie critiche quella di panteismo.
Qui parlo fuori del mio mestiere, quindi sono disponibile per qualunque precisazione: 
Mi pare però che in Teilhard de Chardin non si perda mai il senso personale del Dio-Padre (di Abramo, non dei filosofi), e il Cristo in cui si riassume il creato al vertice evolutivo è il Verbo personale, non un vago principio impersonale che permea il mondo.
C’è un altro discorso da fare: la Provvidenza.
C’è un posto nella scienza per le cause finali?  La struttura delle nostre equazioni differenziali dà soluzioni  che dipendono solo dalle condizioni iniziali.  Ma le equazioni differenziali non lineari che descrivono sistemi aperti non ammettono soluzione unica.  Chi fa la scelta?  Nell’ambito della scienza, diciamo che fra una molteplicità di possibili scelte, prevale quella che meglio si armonizza coll’ambiente (in taluni darwiniano, si fissa solo la mutazione che meglio si adatta).
Ma esiste una lettura extra scientifica che interpreti i dati senza contrastare colla interpretazione scientifica?  E, se esiste, è rilevante (cioè integra utilmente  il punto di vista scientifico9?
Dio nella Genesi dà ad Adamo il compito di dare un nome alle cose, cioè di fare scienza.  Questo programma sarebbe stato anche comprensibile colla deterministica “armonia prestabilita” che esclude ulteriori interventi di Dio nel corso degli eventi.  Ma tutta la Bibbia (ad es. il libro di Giobbe) parla di interventi di Dio e questi sono sempre misteriosi (non si accenna al riguardo a ricette conoscitive).  E’ ciò un segno che le cause finali non ricadranno mai nell’ambito della scienza?
Si può riproporre, come vuole Teilhard de Chardin, una sintesi che in definitiva chiuderebbe il dualismo cartesiano riportandoci all’unità della filosofia medioevale, ma nel rispetto della scienza galileiana?
E’ questo forse il più grosso problema lasciato aperto da Teilhard de Chardin.


TITO ARECCHI
Professore di Fisica, Università di Firenze
 Responsabile Scientifico dell’ Istituto Nazionale di Ottica Applicata (INOA)

 
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