In questi primi giorni di settembre presso la Gregoriana, a Roma, si è svolto un Convegno in ricordo del grande evento che fu il Concilio Vaticano II e l'influenza avuta da Teilhard nell'ambito della discussione e della preparazione di alcuni importanti documenti..
Nell'ambito delle discussioni conciliari ci furiono moltissimi Padri che parlarono in termini entusiastici di Teilhard de Chardi, mentre altri criticarono questo continuo riferimento all'opera del Padre gesuita.
Ad alcuni di questi oratori intervenuti contro l'influenza teilhardiana il Consulente Conciliare Henry De Lubac inviò una lettera aperta per testimoniare l'utilità del grande pensiero teilhardiano.
Qui di seguito vi citiamo alcuni passi della lettera aperta e insieme non possiamo non ricordare che oggi l'Osservatore Romano pubblica un articolo dedicato proprio a questo tema. Articolo che trovere qui di seguito.
Giovanni Fois
DE LUBAC AI PADRI CONCILIARI
Un oratore, non francese, mell'Aula del Concilio Ecumenico Vaticano II nel 1965, lanciò una "frecciata" contro Teilhard de Chardin. Il teologo Henri De Lubac, consuilente e perito del Concilio, inviò subito una lettera aperta "a un Padre del Concilio di cui ho ascoltato nell'Aula a San Pietro un intervento poco favorevole a Teilhard".
Roma, 22 ottobre 1965
...Le parole benevole che ha pronunciato l'altro ieri sui "periti" mi incoraggiano a scriverLe. Ha ricordato con forza, nel suo intervento, l'esistenza del male nel mondo e l'influenza che vi esercitano i demoni. Permetterà che, senza dubbio con molti altri, io Le esprima per questo la mia riconoscenza. Ma se me lo permette aggiungerei che si sarebbe rallegrato se avesse saputo che questa verità troppo certa fu ricordata con non meno forsa dal Padre Teilhard de Chardin.
Certo, negli scritti di scienza e di filosofia scientifica, il Padre Teilhard non parlava affatto abitualmente di queste cose. Ma nell'Ambiente Divino, opera religiosa, alla quale teneva particolarmente, egli invita il lettore a meditare sul mistero del male, sul disordine che si manifesta nel mondo, disordine del quale vede la causa non solo in una colpa originale chiaramente ricordata, ma nell'azione di potenze personali malvagie (i demoni). E in questo stesso Ambiente Divino come in numerosi altri scritti, lontano dall'insegnare una sorta di "organismo" (se si intende qui la dottrina dell'apocatastasi), ci mette con insistenza davasnti alla terribile eventualità della dannazione. Nessuno scrittore religioso contemporaneo, a mia conoscenza, ha parlato del dogma dell'inferno con altrettanta fermezza coraggiosa che il Pardre Teilhard.
Quel che si chiama il suo "ottimismo" si oppone innanzitutto a ogni pessimismo ateo, che provenga dall'ambiente scientifico (come in Henri Poincarè) o di correnti filosofiche (come in Sartre), reagisce ugualmente contro certe deviazioni del pensiero nei credenti, in nome della fede e della speranza cristiana, fondata sulla visione definitiva del Cristo risuscitato. Ma non sopprime assoluitamente il dramma dell'esistenza umana. L'inevitabile scelta tra il Bene e il Male (tra la Rivolta e l''Adorazione), portando con sè l'alternativa tra salvezza e dannazione, è costantemente evocata negli scritti teilhardiani, anche in quelli che non fanno appello direttamente alle luci della Rivelazione. (...) Io so che il disprezzo del soggetto del Padre Teilhard è frequente, tanto da parte di pretesi discepoli (il tale o talaltro, in lingua tedesca, tradiscono gravemente il suo pensiero) che da parte di certi detrattori. E' per questo che mi semto obbligato a offrirLe umilmente questa testimonianza.
Viene da qualcuno che non è particolarmente "teilhardiano", ma che ha conosciuto a sufficienza la persona e l'opera del Padre per avere la possibilità di non sbagliarsi gravemente sul loro soggetto.
Voglia gradire, Reverendissimo Padre, l'espressione del mio profondo rispetto e della mia dedizione.
In Cristo Gesù
Henri de Lubac
P.S. Ha citato, se ricordo bene, l'Inno alla Materia. Posso attirare la Sua attenzione sul fatto che questo inno è spesso riprodotto in modo doppiamente imcompleto! Da una parte, certi versetti sono omessi, quelli precisamente che evocano i pericoli della Materia, la necessità di lottare con lei e di resistere alle sue attrattive. D'altra parte si dimentica di dire che serve da conclusione a uno studio simbolico sulla "Potenza spirituale della Materia", da cui risulta che questo inno è messo sulla bocca di un cristiano che è passato per le tappe dell'aascesi e del sacrificio. E' un pò nella stessa materia che San Giovanni della Croce scrive, parafrasando S. Paolo, "Miei sono i cieli, mia è la Terra..."
HDL
Osservatore Romano 10 settembre 2012
Come Pierre Teilhard de Chardin trovò un appassionato difensore
UN AVVOCATO AL VATICANO II
Lo sforzo di Henri de Lubac per far conoscere il pensiero autentico dell'amico
di Éric de Moulins-Beaufort*
È noto che Henri de Lubac è stato un amico di Pierre Teilhard de Chardin. Dopo il loro primo incontro, Henri de Lubac fece subito parte dei corrispondenti di Teilhard e fu tra quelli a cui Teilhard teneva a far visita quando passava per Parigi. Teilhard sottoponeva a Lubac alcuni suoi testi, fiducioso nel suo parere di teologo, ma capitava che non fossero d'accordo. È per questo che Teilhard ha potuto qualificare Lubac come un “conservatore”, prigioniero di certe rappresentazioni classiche del tempo e dello spazio.
Durante tutto il periodo preparatorio del Vaticano II, e durante tutto quanto il suo svolgimento, Teilhard ha notevolmente occupato le menti, per lo meno nel mondo cattolico, sia quelle di chi lo riteneva una promessa, sia quelle di chi lo giudicava pericoloso. Lubac è stato considerato il suo avvocato autorizzato, e questo gli ha richiesto una multiforme attività, per difenderlo ma anche per liberarlo da erronee interpretazioni. Lubac, teologo, pur senza sentirsi teilhardiano, ha scoperto nel pensiero dell'amico ciò che avrebbe consentito alla Chiesa di trarre i migliori frutti dal concilio.
Se Lubac ha scritto molto su Teilhard, è perché aveva ricevuto dai quattro padri provinciali di Francia, approvati dal superiore generale della Compagnia di Gesù, l'incarico di esporre il pensiero del suo anziano confratello per liberarlo dalle erronee interpretazioni che cominciavano a proliferare. Era l'inizio dell'estate 1961. Ne è risultato un lavoro di quasi un decennio, del quale Lubac ha potuto dire che lo aveva molto assorbito e che non era sempre stato dei più affascinanti. Il primo libro,La Pensée religieuse du Père Teilhard de Chardin, fu scritto in pochi mesi e pubblicato nella primavera del 1962, poco prima dell'apertura del concilio.
Nel corso delle riunioni preparatorie,la Curia e, soprattutto, un certo numero di teologi “romani” erano ancora intenti a preparare un concilio classico di condanna delle opinioni pericolose per la fede, e Lubac, che vi prese parte, poté constatare quanto Teilhard fosse considerato il bersaglio ideale. Quelli che avevano preparato lo schema De deposito fidei, sul deposito della fede, o quello De ordine morali, ambedue respinti dai Padri conciliari, vi avevano inserito una condanna, certo non esplicita ma tuttavia chiara e determinata, del gesuita francese.
Henri de Lubac fu profondamente colpito nel constatare che il pensiero dell'amico veniva attaccato sulla base di alcuni testi brevi, tratti fuori da qualunque contesto, che non erano stati minimamente analizzati in modo serio, ed era preoccupato che i padri conciliari potessero pronunciare la condanna di un pensiero senza che fosse stato loro fornito alcun mezzo efficiente per darne una seria valutazione.
Nei Carnets du Concile, che contengono gli appunti di Lubac presi durante il periodo ante-conciliare e le prime sessioni, i riferimenti a Teilhard, relativi a incidenti o a discussioni a suo riguardo, sono sicuramente fra i più frequenti.Uno degli incidenti più seri, riferiti da Henri de Lubac, avvenne il 16 febbraio 1961, con ripercussioni fino alla vigilia del concilio. Lubac aveva preso la parola nella commissione ante-preparatoria per protestare contro monsignor Piolanti e il padre Dhanis, che avevano introdotto in uno schema una condanna di Teilhard. Padre Tromp, che presiedeva la commissione, si impegnò il 22 febbraio a limitare la cosa, ma il 26 settembre il testo stampato non conteneva, su questo punto, alcuna correzione.
La vicenda del Monitum fu un altro segno della volontà un po' ossessiva di certi ambienti romani di giungere a una condanna di Teilhard. Il libro di LubacLa Pensée religieuse du Père Pierre Teilhard de Chardin fu pubblicato nella primavera del 1962. Il suo scopo è di presentare le grandi strutture della riflessione di Teilhard, per dimostrare che egli sfugge a quasi tutte le critiche che gli vengono rivolte. Immediatamente alcuni circoli si misero in agitazione per ottenere una condanna del libro.
Secondo Lubac, Giovanni XXIII vi si oppose. Comunque, su «L'Osservatore Romano» del 1° luglio 1962, comparve un “avvertimento” (Monitum) datato 30 giugno. Era accompagnato da un articolo non firmato, procedura che indica, nel protocollo del quotidiano del Vaticano, l'approvazione dell'“autorità superiore”. L'”avvertimento” stesso informava che le opere di padre Teilhard avevano un grande successo, ma non erano esenti da “ambiguità, anzi da gravi errori, che intaccavano la dottrina cattolica»; e chiedeva perciò che le menti, specie dei giovani, fossero efficacemente difese da questi pericoli.
Di fatto il libro di Lubac vi dava un contributo, come pure le discussioni, pubbliche o private, gli articoli e le conferenze in cui si impegnava a dimostrare che il Monitum non aveva senso, e a porre in luce le assurdità o le approssimazioni, sulla cui base l'autore metteva in guardia contro Teilhard.
Quando si riunì il concilio, Lubac poté rapidamente constatare che l'opera dell'amico era ampiamente conosciuta in tutto il mondo. Nell'aula conciliare, in cui il caso di Teilhard venne più volte rievocato, come pure all'esterno, con chiunque vi fosse interessato, egli si è dedicato a difendere o a esporre con precisione il suo pensiero, in modo che ciascuno potesse rivedere il proprio giudizio sull'uomo e sulla sua opera.
Le citazioni pubbliche di Teilhard spuntarono soprattutto durante la discussione sullo schema XIII, futura costituzione Gaudium et spes. A modo di esempio, Lubac ebbe occasione di incontrare l'abate di Beuron, dom Benoît Deetz, che era intervenuto per lamentare che il concilio non definisse il mondo partendo dalla Scrittura, ma «secondo un vago teilhardismo», e riuscì a fargli vedere che l'autentico pensiero di Teilhard andava invece piuttosto nella sua direzione.
Un segnale che il clima riguardo a Teilhard, nel corso del concilio, stava cambiando, furono due conferenze, non private ma pubbliche, che Lubac fece su di lui a Roma: la prima ebbe luogo con l'autorizzazione del cardinale vicario di Roma e di fronte a parecchi vescovi, ma chi aveva preso l'iniziativa ricevette comunque un rimprovero; la seconda nell'ambito del congresso tomista internazionale, su esplicita richiesta di Paolo VI.
Il 5 ottobre 1964, durante la terza sessione, monsignor McGrath, vescovo di Panama, ritenendo, in una conversazione privata, che il nesso, affermato dal testo presentato, fra il lavoro umano e l'escatologia rimaneva troppo estrinseco, disse a Lubac «che nell'opera di Teilhard si sarebbero potute trovare, al riguardo, idee più precise». Da quel momento in poi, Lubac noterà regolarmente nei suoi Carnets il modo in cui il pensiero di Teilhard affrontava con precisione e con profondità le problematiche che il concilio andava trattando.
Lubac dovrà tuttavia dolersi del fatto che parlare di Teilhard sia per alcuni «un'occasione per dir male di Roma» o farà notare quanto Teilhard sfugga a un errore del genere, che circola in certi ambienti teologici: il 17 ottobre 1964, commentando un articolo di Schillebeckx nella rivista «Concilium» (La Chiesa e il mondo), scrive: «Mai (Teilhard) avrebbe detto che la rivelazione non fa altro che esplicitare il cristianesimo implicito del mondo profano».
È così che, mentre non smettono le accuse di certuni, che cioè Teilhard sia uno dei principali pensatori responsabili del “progressismo cristiano”, Lubac vede prender piede un utilizzo, che ritiene scorretto, degli scritti o dei pensieri dell'amico, arruolato, a prezzo di gravi deformazioni o mutilazioni della sua opera, nelle file di un secolarismo che non ha nulla di cristiano. Perciò, dopo il concilio, il lavoro di Henri de Lubac per l'amico seguirà tre direzioni: rispondere ad accuse ingiuste, che mettono in questione l'ortodossia della sua fede cristiana, collocando ognuno degli scritti nel suo contesto e nel suo genere letterario; liberare il pensiero autentico di Teilhard dalle letture secolarizzanti, facendo vedere la coerenza del suo pensiero, senza che si possa separare un'opera scientifica e filosofica dai suoi scritti religiosi o spirituali; mettere in rilievo gli assi portanti dello sforzo di pensiero di Teilhard, che possono e devono ispirare il pensiero cristiano nei decenni futuri.
Riportando le intuizioni di Teilhard nell'alveo della Tradizione della Chiesa, Lubac è ben persuaso di non edulcorarle o privarle della loro novità, recependole invece come Teilhard le ha concepite, e di garantire loro una maggiore fecondità per la vita della Chiesa.
*Vescovo ausiliare di Parigi
(©L'Osservatore Romano 10 novembre 2012)
di Éric de Moulins-Beaufort*
È noto che Henri de Lubac è stato un amico di Pierre Teilhard de Chardin. Dopo il loro primo incontro, Henri de Lubac fece subito parte dei corrispondenti di Teilhard e fu tra quelli a cui Teilhard teneva a far visita quando passava per Parigi. Teilhard sottoponeva a Lubac alcuni suoi testi, fiducioso nel suo parere di teologo, ma capitava che non fossero d'accordo. È per questo che Teilhard ha potuto qualificare Lubac come un “conservatore”, prigioniero di certe rappresentazioni classiche del tempo e dello spazio.
Durante tutto il periodo preparatorio del Vaticano II, e durante tutto quanto il suo svolgimento, Teilhard ha notevolmente occupato le menti, per lo meno nel mondo cattolico, sia quelle di chi lo riteneva una promessa, sia quelle di chi lo giudicava pericoloso. Lubac è stato considerato il suo avvocato autorizzato, e questo gli ha richiesto una multiforme attività, per difenderlo ma anche per liberarlo da erronee interpretazioni. Lubac, teologo, pur senza sentirsi teilhardiano, ha scoperto nel pensiero dell'amico ciò che avrebbe consentito alla Chiesa di trarre i migliori frutti dal concilio.
Se Lubac ha scritto molto su Teilhard, è perché aveva ricevuto dai quattro padri provinciali di Francia, approvati dal superiore generale della Compagnia di Gesù, l'incarico di esporre il pensiero del suo anziano confratello per liberarlo dalle erronee interpretazioni che cominciavano a proliferare. Era l'inizio dell'estate 1961. Ne è risultato un lavoro di quasi un decennio, del quale Lubac ha potuto dire che lo aveva molto assorbito e che non era sempre stato dei più affascinanti. Il primo libro,
Nel corso delle riunioni preparatorie,
Henri de Lubac fu profondamente colpito nel constatare che il pensiero dell'amico veniva attaccato sulla base di alcuni testi brevi, tratti fuori da qualunque contesto, che non erano stati minimamente analizzati in modo serio, ed era preoccupato che i padri conciliari potessero pronunciare la condanna di un pensiero senza che fosse stato loro fornito alcun mezzo efficiente per darne una seria valutazione.
Nei Carnets du Concile, che contengono gli appunti di Lubac presi durante il periodo ante-conciliare e le prime sessioni, i riferimenti a Teilhard, relativi a incidenti o a discussioni a suo riguardo, sono sicuramente fra i più frequenti.Uno degli incidenti più seri, riferiti da Henri de Lubac, avvenne il 16 febbraio 1961, con ripercussioni fino alla vigilia del concilio. Lubac aveva preso la parola nella commissione ante-preparatoria per protestare contro monsignor Piolanti e il padre Dhanis, che avevano introdotto in uno schema una condanna di Teilhard. Padre Tromp, che presiedeva la commissione, si impegnò il 22 febbraio a limitare la cosa, ma il 26 settembre il testo stampato non conteneva, su questo punto, alcuna correzione.
La vicenda del Monitum fu un altro segno della volontà un po' ossessiva di certi ambienti romani di giungere a una condanna di Teilhard. Il libro di Lubac
Secondo Lubac, Giovanni XXIII vi si oppose. Comunque, su «L'Osservatore Romano» del 1° luglio 1962, comparve un “avvertimento” (Monitum) datato 30 giugno. Era accompagnato da un articolo non firmato, procedura che indica, nel protocollo del quotidiano del Vaticano, l'approvazione dell'“autorità superiore”. L'”avvertimento” stesso informava che le opere di padre Teilhard avevano un grande successo, ma non erano esenti da “ambiguità, anzi da gravi errori, che intaccavano la dottrina cattolica»; e chiedeva perciò che le menti, specie dei giovani, fossero efficacemente difese da questi pericoli.
Di fatto il libro di Lubac vi dava un contributo, come pure le discussioni, pubbliche o private, gli articoli e le conferenze in cui si impegnava a dimostrare che il Monitum non aveva senso, e a porre in luce le assurdità o le approssimazioni, sulla cui base l'autore metteva in guardia contro Teilhard.
Quando si riunì il concilio, Lubac poté rapidamente constatare che l'opera dell'amico era ampiamente conosciuta in tutto il mondo. Nell'aula conciliare, in cui il caso di Teilhard venne più volte rievocato, come pure all'esterno, con chiunque vi fosse interessato, egli si è dedicato a difendere o a esporre con precisione il suo pensiero, in modo che ciascuno potesse rivedere il proprio giudizio sull'uomo e sulla sua opera.
Le citazioni pubbliche di Teilhard spuntarono soprattutto durante la discussione sullo schema XIII, futura costituzione Gaudium et spes. A modo di esempio, Lubac ebbe occasione di incontrare l'abate di Beuron, dom Benoît Deetz, che era intervenuto per lamentare che il concilio non definisse il mondo partendo dalla Scrittura, ma «secondo un vago teilhardismo», e riuscì a fargli vedere che l'autentico pensiero di Teilhard andava invece piuttosto nella sua direzione.
Un segnale che il clima riguardo a Teilhard, nel corso del concilio, stava cambiando, furono due conferenze, non private ma pubbliche, che Lubac fece su di lui a Roma: la prima ebbe luogo con l'autorizzazione del cardinale vicario di Roma e di fronte a parecchi vescovi, ma chi aveva preso l'iniziativa ricevette comunque un rimprovero; la seconda nell'ambito del congresso tomista internazionale, su esplicita richiesta di Paolo VI.
Il 5 ottobre 1964, durante la terza sessione, monsignor McGrath, vescovo di Panama, ritenendo, in una conversazione privata, che il nesso, affermato dal testo presentato, fra il lavoro umano e l'escatologia rimaneva troppo estrinseco, disse a Lubac «che nell'opera di Teilhard si sarebbero potute trovare, al riguardo, idee più precise». Da quel momento in poi, Lubac noterà regolarmente nei suoi Carnets il modo in cui il pensiero di Teilhard affrontava con precisione e con profondità le problematiche che il concilio andava trattando.
Lubac dovrà tuttavia dolersi del fatto che parlare di Teilhard sia per alcuni «un'occasione per dir male di Roma» o farà notare quanto Teilhard sfugga a un errore del genere, che circola in certi ambienti teologici: il 17 ottobre 1964, commentando un articolo di Schillebeckx nella rivista «Concilium» (
È così che, mentre non smettono le accuse di certuni, che cioè Teilhard sia uno dei principali pensatori responsabili del “progressismo cristiano”, Lubac vede prender piede un utilizzo, che ritiene scorretto, degli scritti o dei pensieri dell'amico, arruolato, a prezzo di gravi deformazioni o mutilazioni della sua opera, nelle file di un secolarismo che non ha nulla di cristiano. Perciò, dopo il concilio, il lavoro di Henri de Lubac per l'amico seguirà tre direzioni: rispondere ad accuse ingiuste, che mettono in questione l'ortodossia della sua fede cristiana, collocando ognuno degli scritti nel suo contesto e nel suo genere letterario; liberare il pensiero autentico di Teilhard dalle letture secolarizzanti, facendo vedere la coerenza del suo pensiero, senza che si possa separare un'opera scientifica e filosofica dai suoi scritti religiosi o spirituali; mettere in rilievo gli assi portanti dello sforzo di pensiero di Teilhard, che possono e devono ispirare il pensiero cristiano nei decenni futuri.
Riportando le intuizioni di Teilhard nell'alveo della Tradizione della Chiesa, Lubac è ben persuaso di non edulcorarle o privarle della loro novità, recependole invece come Teilhard le ha concepite, e di garantire loro una maggiore fecondità per la vita della Chiesa.
*Vescovo ausiliare di Parigi
(©L'Osservatore Romano 10 novembre 2012)
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