Sulla rivista SE VUOI dedicata all'orientamento vocazionale dei giovani è apparsa negli anni 1990-1992 una serie di riflessioni di Don Nico Dal Molin e che sono state ora raccolte nel volume: "Cammini di speranza per liberare la vita". Vi riproponiamo le pagine dedicate alla riflessione su Pierre Teilhard de Chardin.
Per capire meglio come si pone a noi il problema della Speranza e perché spesso, nei suoi confronti, ci scopriamo esitanti, dubbiosi, carichi di incertezze e perplessità, vorrei quasi "interrogare" con voi quello che io ritengo uno fra i più grandi scrittori religiosi del nostro tempo, ma insieme anche scienziato dedito alla geologia e alla paleontologia: Pierre Teilhard De Chardin. E un gesuita francese, vissuto tra il 1881 e il 1955, capito troppo tardi nelle sue ardite concezioni spirituali, connesse a delle lucide introspezioni psicologiche ed esperienziali sulla vita umana.
Dal 1926 al 1946 lavorò in Cina, dove era stato praticamente esiliato, a Tiensin e a Pechino.
Vorrei chiedere a Teilhard, come se lui fosse qui, in una specie di dibattito immaginario che supera le leggi del tempo, se davvero gli atteggiamenti fondamentali della vita di ognuno possano dirci qualcosa del suo modo di essere profondo. Credo che la sua risposta potrebbe essere più o meno questa.
A colloquio con Teilhard
«Vedete, amici, noi potremmo immaginare un gruppo di escursionisti, che partono alla conquista di una vetta difficile. È un paragone che può calzare per persone giovani, magari amanti dell'avventura o di qualche camminata in montagna. Proviamo però a passare in rassegna il nostro gruppo qualche ora dopo la partenza. A questo punto è molto probabile che la comitiva, che era partita insieme e con slancio, sia divisa ora in tre tronconi.
Alcuni rimpiangono di avere lasciato il Campo o l'albergo; lì si stava comodi, si poteva prendere il sole e riposarsi. La fatica e forse il pericolo della escursione sembrano sproporzionate all'interesse della conquista di quella vetta a cui avevano mirato.
Altri non sono per nulla dispiaciuti di essersi messi in cammino; il sole risplende in un cielo terso e carico di azzurro, il panorama è meraviglioso, l'aria che si respira è piena di ossigeno e dilata i polmoni, abituati come siamo all'ossido di carbonio delle nostre città... Ma a questo punto perché salire ancora, perché continuare a fare fatica quando tutto è così bello; ci si può godere la montagna dove si è, in mezzo ad un prato chiazzato di stelle alpine o in pieno bosco odoroso di muschio e licheni. Così, appagati, si sdraiano sull'erba, aspettando che arrivi l'ora del picnic insieme.
È rimasto, infine, un gruppetto di veri amanti della montagna; i loro occhi non si staccano dalla vetta per la quale si sono messi in cammino e che hanno giurato a se stessi di conquistare, costi quello che costi... Pur vedendo gli altri fermarsi o ritornare indietro, loro stringono i denti e riprendono la salita...».
Non c'è speranza per... “i nati stanchi”
Fin qui è quanto ha voluto dirci, con il suo esempio, Teilhard De Chardin.
Proviamo noi ora a scavare un po' di più per capire il messaggio e decodificarlo nella nostra vita.
Il primo troncone lo potremmo definire dei "nati stanchi"... Sono quelli (e ahimé sono tanti), che non amano fare fatica, che cercano tutti i possibili comforts, che si lamentano in continuazione di questo che non va, di quello che non li capisce, di come la vita si presenti difficile e dura... In loro c'è sempre una velata apatìa che li porta alla rassegnazione e al valutare gran parte della vita, se non l'esistenza stessa nella sua interezza, con un atteggiamento di profondo pessimismo.
Hanno occhi scoraggiati e sfiduciati, il loro passo è stanco, il loro modo di vivere è sentito come uno scacco continuo.
Per questi individui, il solo "pensare" alla Speranza è una ...illusione e la loro vita diventa un camminare strascicato, perché si tirano dietro una pesante palla di piombo legata al piede: il loro pessimismo!
In fondo, il loro slogan potrebbe suonare così: « È meglio essere MENO che essere PIO; anzi, il meglio di tutto sarebbe non essere per nulla».
Solo piacere... niente speranza
La seconda "trance" dei nostri escursionisti, forse la fetta più consistente, è formata da una categoria di tipi che possiamo definire, tranquillamente, dei "bontemponi".
Sono allegri, gioviali e in fondo a loro non interessa far fatica ma piuttosto divertirsi. Là dove si trova questa opportunità ci si ferma, un po' come dei farfalloni che una volta trovato il buon nettare di un fiore si fermano a succhiarlo, gratificati, fino in fondo.
Sono i figli della nostra cultura dell'immediato, quelli che amano cogliere ...l'attimo fuggente e fermarsi a quello che "qui e adesso", senza difficoltà, viene passato come il piacere della vita.
Per loro il motto potrebbe essere: "Riempiamoci del momento presente". Una riedizione per nulla originale del vecchio "carpe diem", esaltato dal poeta latino Orazio, che non sempre ci ha visti, o ci vede attualmente, benevoli e compiaciuti nei suoi confronti, sui banchi di scuola durante qualche traduzione di ...latino.
Sono quelli che sul futuro e per il futuro non scommettono nulla, non rischiano nulla. Sono quelli per cui la Speranza resta una gran bella parola, ma che li lascia indifferenti e assopiti nel loro benessere presente.
Il coraggio dei "cuori ardenti"
Ci è rimasto l'ultimo gruppo, che non esiterei a definire il gruppo dei "coraggiosi", uomini e donne, giovani dal cuore ardente e tenace, per cui il vivere è una ricerca e una scoperta di valori preziosi; per essi la Speranza è un bene che vale lo sforzo di una dura salita, è una vetta che appaga pienamente la fatica fatta per raggiungerla.
Anzi, oserei dire che per essi la Speranza è la ricerca di un qualcosa di più, non in senso perfezionistico, ma nel riuscire a cogliere il loro punto di arrivo come il nuovo punto di partenza per la prossima vetta e quindi per una ulteriore scoperta. Non sono avventurieri, ma giovani innamorati di "essere di più e meglio", sapendo che l'Essere che cercano è inesauribile nelle sue proposte e nelle sue risposte; che la Speranza che trovano è come un focolare di luce, di calore a cui è bello e anche possibile avvicinarsi sempre maggiormente.
Qualcuno li deride, qualche altro li ritiene illusi o ingenui, altri ancora li credono delle "teste matte" che non sanno capire il senso concreto della vita.
Si accomodino pure questi signori dal riso incredulo, come Sara, la moglie di Abramo, di fronte ai tre ospiti che le annunciavano la sua futura maternità, pur nella vecchiaia. Si accomodino... perché piano piano sarà il loro riso a smorzarsi sulla bocca, quando vedranno che in quelli e da quelli che loro ritenevano ingenui, si prepara a sorgere la "terra di domani".
Dal 1926 al 1946 lavorò in Cina, dove era stato praticamente esiliato, a Tiensin e a Pechino.
Vorrei chiedere a Teilhard, come se lui fosse qui, in una specie di dibattito immaginario che supera le leggi del tempo, se davvero gli atteggiamenti fondamentali della vita di ognuno possano dirci qualcosa del suo modo di essere profondo. Credo che la sua risposta potrebbe essere più o meno questa.
A colloquio con Teilhard
«Vedete, amici, noi potremmo immaginare un gruppo di escursionisti, che partono alla conquista di una vetta difficile. È un paragone che può calzare per persone giovani, magari amanti dell'avventura o di qualche camminata in montagna. Proviamo però a passare in rassegna il nostro gruppo qualche ora dopo la partenza. A questo punto è molto probabile che la comitiva, che era partita insieme e con slancio, sia divisa ora in tre tronconi.
Alcuni rimpiangono di avere lasciato il Campo o l'albergo; lì si stava comodi, si poteva prendere il sole e riposarsi. La fatica e forse il pericolo della escursione sembrano sproporzionate all'interesse della conquista di quella vetta a cui avevano mirato.
Altri non sono per nulla dispiaciuti di essersi messi in cammino; il sole risplende in un cielo terso e carico di azzurro, il panorama è meraviglioso, l'aria che si respira è piena di ossigeno e dilata i polmoni, abituati come siamo all'ossido di carbonio delle nostre città... Ma a questo punto perché salire ancora, perché continuare a fare fatica quando tutto è così bello; ci si può godere la montagna dove si è, in mezzo ad un prato chiazzato di stelle alpine o in pieno bosco odoroso di muschio e licheni. Così, appagati, si sdraiano sull'erba, aspettando che arrivi l'ora del picnic insieme.
È rimasto, infine, un gruppetto di veri amanti della montagna; i loro occhi non si staccano dalla vetta per la quale si sono messi in cammino e che hanno giurato a se stessi di conquistare, costi quello che costi... Pur vedendo gli altri fermarsi o ritornare indietro, loro stringono i denti e riprendono la salita...».
Non c'è speranza per... “i nati stanchi”
Fin qui è quanto ha voluto dirci, con il suo esempio, Teilhard De Chardin.
Proviamo noi ora a scavare un po' di più per capire il messaggio e decodificarlo nella nostra vita.
Il primo troncone lo potremmo definire dei "nati stanchi"... Sono quelli (e ahimé sono tanti), che non amano fare fatica, che cercano tutti i possibili comforts, che si lamentano in continuazione di questo che non va, di quello che non li capisce, di come la vita si presenti difficile e dura... In loro c'è sempre una velata apatìa che li porta alla rassegnazione e al valutare gran parte della vita, se non l'esistenza stessa nella sua interezza, con un atteggiamento di profondo pessimismo.
Hanno occhi scoraggiati e sfiduciati, il loro passo è stanco, il loro modo di vivere è sentito come uno scacco continuo.
Per questi individui, il solo "pensare" alla Speranza è una ...illusione e la loro vita diventa un camminare strascicato, perché si tirano dietro una pesante palla di piombo legata al piede: il loro pessimismo!
In fondo, il loro slogan potrebbe suonare così: « È meglio essere MENO che essere PIO; anzi, il meglio di tutto sarebbe non essere per nulla».
Solo piacere... niente speranza
La seconda "trance" dei nostri escursionisti, forse la fetta più consistente, è formata da una categoria di tipi che possiamo definire, tranquillamente, dei "bontemponi".
Sono allegri, gioviali e in fondo a loro non interessa far fatica ma piuttosto divertirsi. Là dove si trova questa opportunità ci si ferma, un po' come dei farfalloni che una volta trovato il buon nettare di un fiore si fermano a succhiarlo, gratificati, fino in fondo.
Sono i figli della nostra cultura dell'immediato, quelli che amano cogliere ...l'attimo fuggente e fermarsi a quello che "qui e adesso", senza difficoltà, viene passato come il piacere della vita.
Per loro il motto potrebbe essere: "Riempiamoci del momento presente". Una riedizione per nulla originale del vecchio "carpe diem", esaltato dal poeta latino Orazio, che non sempre ci ha visti, o ci vede attualmente, benevoli e compiaciuti nei suoi confronti, sui banchi di scuola durante qualche traduzione di ...latino.
Sono quelli che sul futuro e per il futuro non scommettono nulla, non rischiano nulla. Sono quelli per cui la Speranza resta una gran bella parola, ma che li lascia indifferenti e assopiti nel loro benessere presente.
Il coraggio dei "cuori ardenti"
Ci è rimasto l'ultimo gruppo, che non esiterei a definire il gruppo dei "coraggiosi", uomini e donne, giovani dal cuore ardente e tenace, per cui il vivere è una ricerca e una scoperta di valori preziosi; per essi la Speranza è un bene che vale lo sforzo di una dura salita, è una vetta che appaga pienamente la fatica fatta per raggiungerla.
Anzi, oserei dire che per essi la Speranza è la ricerca di un qualcosa di più, non in senso perfezionistico, ma nel riuscire a cogliere il loro punto di arrivo come il nuovo punto di partenza per la prossima vetta e quindi per una ulteriore scoperta. Non sono avventurieri, ma giovani innamorati di "essere di più e meglio", sapendo che l'Essere che cercano è inesauribile nelle sue proposte e nelle sue risposte; che la Speranza che trovano è come un focolare di luce, di calore a cui è bello e anche possibile avvicinarsi sempre maggiormente.
Qualcuno li deride, qualche altro li ritiene illusi o ingenui, altri ancora li credono delle "teste matte" che non sanno capire il senso concreto della vita.
Si accomodino pure questi signori dal riso incredulo, come Sara, la moglie di Abramo, di fronte ai tre ospiti che le annunciavano la sua futura maternità, pur nella vecchiaia. Si accomodino... perché piano piano sarà il loro riso a smorzarsi sulla bocca, quando vedranno che in quelli e da quelli che loro ritenevano ingenui, si prepara a sorgere la "terra di domani".
0
|
Nessun commento:
Posta un commento