giovedì 25 ottobre 2012

L’ORIGINALITA’ DELLA VISIONE TEILHARDIANA

Relazione presentata da Padre Gustave Martelet s.j. al Convegno internazionale di Roma in occasione del cinquantenario della morte di Pierre Teilhard de Chardin (Roma, 2005)


   Definire il pensiero del Padre Teilhard una visione significa dover dire tre cose. La prima è già espressa dallo stesso Teilhard e a quanto pare va da sé poiché si tratta solo di vedere quello che, per lui, salta agli occhi, come ad esempio la realtà scientifica dell'evoluzione. A dire il vero, non è proprio così. Il vedere implica dunque un far vedere: compito insostituibile e tanto più necessario del vedere, proposto da Teilhard come automatico, richiedeva allora e ancora richiede ad alcuni una re-visione  sconvolgente rispetto alle evidenze primarie correntemente accettate soprattutto nell'ordine della fede. Infatti, il far vedere intrapreso da Teilhard si riferisce ad uno sguardo religiosamente approfondito e culturalmente rinnovato del dogma della creazione e innanzitutto della lettura dei primi capitoli del Genesi. Il vedere teilhardiano che sembra al suo autore tanto naturale comporta una trasformazione radicale dello sguardo abituato ad una visione diversa dalla sua: suppone e racchiude un tipo di organicità perlomeno inconsueto tra la scienza, la teologia e l’antropologia.
     Dal punto di vista scientifico prima ed innanzitutto, poiché è esso che impone il rimaneggiamento totale della visione che ha dettato legge durante millenni con il geocentrismo e la fissità inflessibile delle specie e dello stato generale del mondo astrale e sublunare con un tempo alla fine ripetitivo ed uno spazio quasi assoluto. Anche se non si accetta nel dettaglio la descrizione che Teilhard dà dell'evoluzione, la visione teilhardiana dipende nelle sue linee maestre dai dati attuali della scienza sull'evoluzione; non pone nessun problema che riguardi la realtà d'insieme dei fatti e delle domande di fondo che dipendono da tale ipotesi. A meno che non si voglia, in nome della parola ipotesi, cercare di contestare la validità delle osservazioni d'astrofisica, di geologia planetaria, di paleontologia animale e umana alle quali l'idea d'evoluzione assicura l'unica intellegibilità che sia ragionevolmente adatta e, ai nostri giorni, universalmente ammessa dal mondo scientifico. Tale è perciò il primo presupposto della visione teilhardiana che sfugge ad ogni critica veramente fondata agli occhi della cultura contemporanea.
      L'originalità propria di Teilhard inizia con il suo secondo presupposto, direttamente, benché paradossalmente, legato al primo. Consiste, indipendentemente da ogni dato precisamente scientifico ma senza creare così il minimo turbamento rispetto al campo validamente controllato dalla scienza stessa, nel fare dei riferimenti in nome della fede. Sin dal 1919, non ha fatto che sviluppare l'ispirazione che guida tutta la sua riflessione di cristiano e di gesuita di fronte all'universo scientificamente conosciuto degli astri, degli esseri viventi e degli uomini : « Il Cristo, lo sappiamo da San Giovanni e San Paolo è il Centro della Creazione, la Forza che può sottomettere tutto, il Termine dove tutto prende figura ». Senza dover giustificare per il momento questo modo di accogliere l’implicita sfida di senso che le conoscenze scientifiche lanciano alla ragione, è strettamente impossibile non prendere sul serio un progetto che posa su una tale base cristologica. Se si trascura quest'aspetto del pensiero di Teilhard o, più ancora, se si guarda con sospetto il suo saldo fondamento teologico in nome di una arditezza mal riuscita o sconvolgente, non possiamo che passare accanto alla visione teilhardiana comportandoci in modo cristianamente ingiusto. Essa trova, in questo presupposto cristologico altamente autorevole, il principio vitale della propria organicità, che è la più originale e la più preziosa che possa esistere cristianamente parlando.
    Dall'unione dei due precedenti presupposti, ambedue ricchi d'innovazione, l'una culturale con l'evoluzione come categoria fondatrice dell'interpretazione scientifica del mondo, l'altra teologica che pone l'Incarnazione del Figlio di Dio nella carne alla radice stessa della Creazione, deriva una conseguenza tanto ovvia per Teilhard da costituire per la visione che ci propone un terzo presupposto, questa volta antropologico, nel senso che diamo qui a questa parola. L'umanità non è mai per Teilhard strettamente intesa come decondizionata per così dire dalla natura tutta. Invece, è organicamente legata al divenire dell'universo in tutte le sue forme. Agli occhi di Teilhard è nientemeno che « la vetta dell'evoluzione » dato il « passo della riflessione »che essa sola ha compiuto al meno a livello planetario; è anche nientemeno che la responsabile, in un modo che sarà da precisare, del significato parzialmente nascosto di quest’evoluzione. Nell'umanità si concentrano e si condensano tutti i problemi dell'universo, che siano astrofisici come l'espansione, filosofici come quello dell’uno e del molteplice - essenziale nella visione di Teilhard -, sociologici,  se così possiamo dire, come la nascita di una « noosfera », e più ancora religiosi a livello di Omega.
   Però l'importanza vitale dell'umanità come luogo matrice d'una coscienza di sé a portata strutturalmente universale non si riduce solo a questo o piuttosto, la grandezza originaria dell'uomo è inclusa fin dal principio nel mistero del Cristo che gli concede la sua stupenda identità. Se è proprio su questo punto che la visione di Teilhard è più originale, è anche quello sul quale è più teologicamente contestata. Questo punto dovremo riprenderlo durante il convegno. Insomma, il problema non è più quello della centralità del Cristo sul quale, almeno, in linea di massima, tutti si dichiarano d'accordo, bensì quello del titolo di Evolutore che Teilhard conferisce al Cristo in funzione dell'organicità della visione che ne ha. Per Teilhard, il Cristo quindi può parere meno Redentore che Evolutore o perfino può parere che lo si possa dispensare dall’essere Redentore se è veramente Evolutore. Qui c'è una difficoltà profonda che a Teilhard non è sfuggita. Essa deve essere affrontata decisamente e risolta senza che il contributo tanto positivo di questo vero e proprio pensatore teologico in apparenza marginale sia minimamente trascurato, ma al contrario integrato nel vivo della cristologia. Questa visione deve esservi integrata a titolo perfettamente evangelico. Nel « tesoro » della Rivelazione, infatti, il « nuovo » che se ne « ricava » è del tutto al suo posto e anche perfettamente insostituibile come « il vecchio » (Mt 13, 52), perché « il vecchio » grazie al « nuovo » troppo spesso dimenticato, si rinnova a colpo sicuro senza che se ne debba trascurare l'importanza talvolta troppo unilateralmente predominante. È in questo che il « nuovo » può indicare che «  il vecchio » ha bisogno di essere risistemato nelle sue fondamenta e nella sua forma alla luce di un sedicente « nuovo » che è in effetti solo una primordiale profondità della Rivelazione fino a quel momento involontariamente ma realmente trascurata.
   Vale a dire che un pensiero come quello di Teilhard, fin nella sua problematica innovatrice ma culturalmente fondata, è dell'ordine del cristianamente inevitabile. Tuttavia, un tale pensiero resta suscettibile di notevoli miglioramenti che lo stesso Teilhard, lungi dal ricusarli, avrebbe riconosciuto necessari, a patto che non avessero distrutto l'organicità cristologica della sua visione.

Padre Gustave Martelet s.j.
(Roma . Università Gregoriana 2005

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