mercoledì 31 ottobre 2012

Teilhard e la cultura cinese

 Come abbiamo più volte citato Padre Teilhard venne "invitato" ad andarsene dalla Francia e dall'insegnamento con la scusa che in Cina avevano bisogno di lui per le ricerche paleontologiche.  Ma come sappiamo il vero motivo era quello di allontanarlo per le sue idee evoluzioniste.  Teilhard obbedì alla "Chiesa" e andò in Cina dove non si chiuse in se stesso e nel lavoro di paleontologo, ma si aprì al mondo circostante aprendosi con sensibilità alla cultura spirituale cinese e diventando di fatto anche un missionario della cristianità.
Il 18 ottobre 2006 Marco Nicolini-Zani tenne una relazione al "Centro Missionario PIME" di Milano sul tema:  Una lunga storia di incontri: il missionario cristiano in dialogo con la cultura cinese. Voglio qui riportare alla vostra attenzione il passaggio in cui Marco Nicolini-Zani parla dell'incontro di Teilhard con la cultura cinese.
"Il missionario cristiano è chiamato a lasciarsi trasformare, a permettere che l’alterità cui si fa prossimo muti le proprie forme espressive esteriori e interiori. Questo lo avvicina a quella che è la terza tappa, o il terzo livello del dialogo, dell’incontro. L’accoglienza, all’interno della propria personale visione della realtà, del punto di vista dell’altro, dello sguardo e del pensiero dell’altro, resta il punto di arrivo mai raggiunto, cui sempre tendere; non in una «fusionalità» in cui l’altro si confonde con me ed è annesso al mio pensiero, ma in una reciproca ospitalità e accoglienza, che ha come fine la vera, profonda comprensione delle ragioni dell’altro. Come ha scritto Louis Massignon: «Per comprendere l’altro, non bisogna annettere l’altro a sé, ma divenirne l’ospite».
Siamo dunque al piano più profondo dell’esperienza dell’incontro e del dialogo, in cui il pensiero stesso dell’altro non è più estraneo, nella fattispecie il pensiero cinese. Evidentemente, questa meta non può che essere raggiunta se non attraverso un percorso di tutta una vita segnata dall’apertura e dall’ascolto dell’altro, di incontro in incontro, di dialogo in dialogo.
Il missionario cristiano che, attraverso questo percorso, è uscito da sé e si è lasciato permeare dal «mondo umano cinese», si troverà già naturalmente immerso anche nel «mondo spirituale cinese», essendo realtà umana e spirituale intrinsecamente connesse. Per «spiritualità cinese» si intende quell’ampio spazio in cui sono racchiuse tutte le relazioni dell’uomo cinese con le realtà terrene e ultraterrene, al cui interno vi sono anche le credenze religiose.
Fra i tanti esempi che si potrebbero citare a questo proposito, vorrei soltanto ricordare l’esperienza di ascolto della spiritualità orientale vissuta dal padre Teilhard de Chardin (che non sappiamo però attraverso quali letture sia passata), da lui accennata in vari passaggi del suo epistolario, e anche descritta in modo più sistematico in due saggi: “La route de l’Ouest” (“La strada dell’Occidente”, 1932), in cui paragona la mistica orientale alla mistica occidentale, e “L’apport spirituel de l’Extrême Orient” (“L’apporto spirituale dell’Estremo Oriente”, 1947).

Sintetizzando, il padre Teilhard sentì la spiritualità orientale - quella cinese in particolare - a lui vicina, e la accolse, la ospitò senza timore nel proprio pensiero teologico cristiano, recependone in particolare alcune direttrici.
Innanzitutto, l’ampiezza e la vastità dell’orizzonte del pensiero orientale. Fin dai suoi primi anni in Cina, il pensiero di Teilhard viene come dilatato dalla “multiforme” alterità del pensiero orientale, le cui forme rivelano una tale esuberanza di «possibilità» nella filosofia, nella mistica e nella morale umane, che non ci si può affatto rappresentare un’umanità interamente e definitivamente racchiusa nell’angusta rete di precetti e di dogmi entro i quali alcuni si immaginano di aver sviluppato tutta l’ampiezza del cristianesimo.
In secondo luogo, la riflessione filosofica cinese sull’uomo. Del pensiero cinese antico, soprattutto della scuola confuciana, Teilhard de Chardin ritenne «un gusto persistente, e alla fine sempre vittorioso, dell’Uomo e della Terra». Nel saggio, “L’apport spirituel de l’Extrême Orient”, ripete la stessa convinzione: «Se è possibile e permesso condensare in una secca formula l’esuberante realtà diffusa in tremila anni di virtù, di arte e di poesia, non si potrebbe, non si dovrebbe forse dire che ciò che caratterizza l’anima della vecchia Cina è il gusto, molto più che la fede, nell’uomo?».




In terzo luogo, la riflessione, soprattutto taoista, sull’armonia cosmica e il costante divenire cosmico, fondato sulla dualità dinamica di “yin” e “yang”, e la sua tensione verso l’Unità. «La grandezza incomparabile delle religioni dell’Oriente - scrive Teilhard - è quella di aver vibrato come nessun’altra della passione per l’Unità». Infine, la speculazione filosofica (mistica) buddhista. Teilhard pare sia stato sedotto soprattutto dalla scuola buddhista della “Terra Pura” (“amidismo”); su questo si confrontò anche con il confratello Henri de Lubac, conoscitore e studioso di questa scuola. Da ciò che possiamo intendere dai suoi scritti, Teilhard fu particolarmente affascinato dalle elaborazioni filosofiche del buddhismo antico.
Padre Jacques Leclerc, un prete cattolico francese che ha vissuto per un certo periodo in Cina in tempi più recenti, conferma questo piano più profondo dell’esperienza dell’incontro e del dialogo. Scrive Leclerc nella sua autobiografia spirituale: «Ecco la ragione più importante della mia vita in Cina: lasciar crescere (in me) l’uomo spirituale. L’uomo non è spirituale se non nell’alterità, nell’ospitalità. I cinesi sono un’alterità molto esigente. Essi mi danno la possibilità di diventare quest’uomo nella sua umanità spogliata, in cammino, affamata, svuotata, e autentica... in una parola, l’uomo spirituale». 

Giovanni Fois

 
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Teilhard durante il soggiorno cinese

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