giovedì 15 novembre 2012


“Ciò che diviene non può nascere che    dalla           fedeltà a ciò che è”

                                      Rodolfo Arata


In questi giorni ad opera di uno dei più autorevoli  esponenti dell’attualismo, Ugo Spirito, torna a delinearsi in termini di contrapposizione la scienza e la fede.  Un giovane universitario, Mario Lancillotti, ci scrive,  accorato,  ponendoci una domanda: “ è dunque passata invano la lezione di illustri ricercatori che in sé hanno conciliato e celebrato le due entità, e fra di essi la famosa esperienza di Teilhard de Chardin, del quale troppo rapide e frammentarie appaiono le frequenti  citazioni e molto scarse le notizie ?”  Il nostro amico ha ragione.  Egli certo avrà letto l’opera monumentale del Prof. Ferdinando Ormea sul gesuita francese:” Guida al pensiero scientifico e religioso”.  Ma con ogni  probabilità il nostro interlocutore intende riferirsi più che alle nozioni strettamente tecniche a quelle biografiche e ambientali in cui  potè maturare  la cosmica avventura.
E’ una “curiosità” legittima che i precipitosi apologeti hanno smorzato e gli indiscriminati detrattori hanno sviato.  Bisognerà accompagnarsi a qualcuno dei suoi compagni o discepoli – Jean Guitton per esempio – per tentare di ricostruire le linee essenziali del misterioso personaggio.  In apparenza è profondamente triste la fine di Teilhard.  E’ solo nella metropoli di New York. Aprile 1955.  Eppure una luce vividissima traspare dal suo sguardo.  Colui che aveva personificato la travagliata alleanza fra il misticismo poetico della natura francescana e l’audace impresa di Prometeo, l’incontro fra la “cosmogenesi” e la “cristogenesi”, sentiva di essere appagato nell’aspirazione da lui espressa quando scrisse: “ Mi piacerebbe morire nel giorno della Resurrezione.  Signore, con tutto il mio istinto e in tutte le occasioni della mia vita, io non ho  mai cessato  di mettervi al centro della materia; vorrei avere la gioia di chiudere gli  occhi nello splendore dell’ universale trasparente”.   E la risposta gli era stata data puntualmente nell’alleluia pasquale, passaggio dal tempo all’eternità.   Che importa se nella Cappella della Park Avenue i funerali di terza classe, privi di ceri e di fiori, si svolgeranno alla presenza di qualche isolata persona;  che importa se nel cimitero di Saint-Andrew, la sua salma sarà inumata nell’erba e con una lapide recante le date della triplice ascesa del transito terreno.

 Tutto ciò è men che nulla dinanzi alla predilezione attestatagli dal Maestro che con l’incarnazione, la morte e la resurrezione aveva compendiato  il destino dell’uomo e del creato trasferito dal Teilhard nel tempo del favoloso scientismo:  Moriva come se fosse uno sconosciuto, ma tale non era se a Parigi veniva atteso al congresso di paleontologia (vedi messaggio precedente n.d.r.) e se un po’ ovunque era sollecitato a lasciare il suo esilio e a riprendere il contrastato cammino:  Non era uno sconosciuto se forse il più grande storico del mondo, Arnold Toynbee (vedi la citazione riportata in un precedente messaggio n.d.r.)  che recentemente ha lasciato la scena terrestre senza i dovuti  onori della “cultura  ufficiale” si affrettava a scrivere:  “Teilhard sarebbe già un gigante dell’intelligenza se si fosse limitato alla paleontologia soltanto, ma di fatto è anche un poeta e un cristiano, e ciò fa di lui un gigante della spiritualità dell’intelligenza.  Egli spezza le barriere che separano i mandarini accademici,  perché possiede un  intelletto che vede al di là delle dicotomie del pensiero”.
Dal canto suo  Etienne Borne  su “Le Monde” celebrava nello scomparso il genio “ del pensiero  positivo e dell’impazienza profetica che aveva fatto di lui una indivisibile grandezza.”  Lo stesso Ferdinando Ormea a proposito di quella tomba sperduta ricorderà incisivamente che “ nella sua vita di religioso non aveva avuto altra ambizione che quella di essere gettato nelle fondamenta di ciò che può crescere…”  Ed ecco il discorso portarci   alle origini di colui  che doveva tentare l’immane conciliazione fra l’universo della scienza e l’universo della coscienza e della fede.    Lo scenario natale è fra i più suggestivi dell’Alvernia, al centro della Francia, ed il castello in cui vive sorgeva fra due entità che dovevano costituire la tematica dominante della sua vita: da un lato il fuoco pietrificato di un vulcano spento; dall’altro l’amore effuso e irradiato dal cristianesimo; la madre pronipote di Voltaire , il padre imparentato a Pascal come ad indicare una provenienza sistematica e recante i germi di sviluppi  futuri
Teilhard ancora adolescente insegue nella lirica dell’Iliade le gesta di Vulcano che caduto nell’isola Lemno diventa artefice, nell’Olimpo, con i fantasiosi mantici, dello scettro di Giove e dello scudo di Achille, mentre la mamma gli istilla la fede religiosa e il culto del Sacro Cuore.  Quando gli si aprono le porte del seminario gesuita la duplice vocazione,  religiosa e scientifica, vibra  nel profondo del suo animo e lo accompagnerà nella propria vita:   Lungo le missioni del geologo e del misto, dell’antropologo e del poeta, del cantore dello spirito e dello scopritore della materia consacrata dalla redenzione.  Non ha tregua il suo passo, non ha pausa la sua ricerca in terre lontane dove dà la  misura di un’impronta originale di una capacità edificatoria, di una fede inconcussa.
Maritain tesseva la propria tela su questo  assioma:”la storia del mondo avanza nel medesimo tempo tanto sulla linea del male  quanto sulla linea del bene”.  Teilhard aveva scritto: “ un vento di rivolta passa sui nostri spiriti:  Ma, nato dalle medesime crescite della coscienza, un altro soffio si diffonde nella massa umana: quello che ci attira tutti, per una sorta di vivente affinità, verso la E Holderlin incalza: “ dove imperversa il pericolo, la anche cresce ciò che si salva”.
La scienza e la tecnologia affrettano i collegamenti  e rendono piccolo il mondo ma lo spirito deve  contrassegnarli nel processo di unificazione e di liberazione perché se< così non fosse  gli elementi innovatori potrebbero trasformarsi in strumenti struttivi e micidiali.  L’avventura cosmica comincia da questo punto e Teilhard ne precorre gli  eventi, ne indica gli spazi, ne esalta la tensione ideale sfuggendo alle insidie del panteismo e agli errori dell’eresia.  Anzi più si accrescono le tentazioni della dissidenza  e maggiore è la reiterata dichiarazione di fedeltà alla Chiesa ed alla propria congregazione: “ ciò che diviene – affermava – non può che nascere dalla fedeltà a ciò che è “ e soggiungeva : “se per  disgrazia la mia fede diminuisce, la luce si spegne, tutto si fa oscuro, si decompone”.
Quale grande ammaestramento per i frondisti di ogni stagione, ma al tempo stesso quale monito per gli ostinati e numerosi immobilisti.   Il saggio sul progresso di Newmann aveva ispirato  a Teilhard il viaggio interplanetario, precedendo con il pensiero cristiano le velocità supersoniche dei missili ed  attuali itinerari delle navi spaziali. Non per questo egli pretendeva di enunciare soluzioni assolute: poneva dei temi ed esortava i filosofi e i teologi a discuterli  e non ripudiarli pregiudizialmente.  Tendeva insomma a dar vita ad una gnosi capace di includere in una sintesi di saggezza  tradizione e l’avvenire della cristianità
Non dire, caro amico, che sia  passata invano l’esperienza cristiana di tanti scienziati e  segnatamente  di Teilhard: l’imponente fioritura della pubblicistica mondiale, le tesi di laurea delle vani leve negli atenei internazionali attestano il contrario, e pur non legittimando feticismi o tesi fantastiche, alimentano non lievi e fugaci speranze.  Bisogna saper leggere, al di sopra delle mode clamorose e sovente molto sommarie, la cronaca della vita quotidiana dove talora si fa evidente quel senso evolutivo di ascesa verso l’assoluto in animi liberi. Virgilio Lilli sul letto del congedo  prorompe in una locuzione degna del suo talento di uomo e di scrittore: “…mi viene incontro una luce grande  e violenta che mi fa piangere…vado verso questa luce: attratto – irresistibilmente da questo fiammeggiante  mistero.  Lo conoscerò. Entrerò nella dimensione in cui i sensi non sono cinque, ma l’infinito”.  E un eminente Pastore, il cardinale Pietro Palazzini, in quella voce ha colto l’accento di una profonda  aspirazione alla cristianità: la vita ha dato il tempo per cercare Dio, la morte l’ora di trovarlo, l’eternità fuori dal tempo l’ora di possederlo senza fine.

in L’Osservatore Romano 11 marzo 1976, pag. 3
  

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