sabato 3 novembre 2012

 

 
 IL “GESUITA PROIBITO” E L’INTEGRAZIONE TRA SCIENZA E FEDE 
 Teilhard De Chardin cinquant'anni dopo 
 

MARINOPARODI
 
Realizzò una brillante sintesi tra dati della scienza e il pensiero teologico tradizionale, offrendo un’originale lettura cristiana di quella chiave di volta della ricerca scientifica che tanto preoccupò gli uomini di Chiesa degli ultimi due secoli, ossia il concetto di "evoluzione". Tuttavia, la sua grandezza consiste proprio nell’affrontare con coraggio e naturalezza temi cruciali e attualissimi.
 
   
  
 
 
 
 
 
 
 
 
«Mi piacerebbe lasciare questo mondo nel giorno della risurrezione», aveva dichiarato padre Pierre Teilhard de Chardin il 15 marzo 1955. Pare proprio che il Signore lo abbia ascoltato: il 10 aprile successivo, domenica di Pasqua, il «pensatore cattolico più inquietante che il mondo cattolico abbia avuto nel secolo scorso», per dirla con Giulio Nascimbeni, se ne andava colpito da un infarto.
 Teologo, filosofo, geologo, paleontologo, saggista, questa controversa e poliedrica figura dalla vita avventurosa e dal carisma fortissimo – Indro Montanelli, che lo intervistò nel 1951, fu affascinato da quel «bellissimo vecchio, tutto bianco, con due occhi azzurri e infantili, che ricordava un po’ nell’aspetto Bertrand Russel e Gustavo di Svezia» – non ha mai cessato di suscitare accesi entusiasmi e roventi polemiche. Anzi, a rendere particolarmente attuale questo gesuita, nato nel 1881 da una ricchissima e aristocratica famiglia francese, che annoverava tra i propri antenati personaggi del calibro di Voltaire da parte di madre e di Pascal da parte di padre, è quello che si può considerare il fil rouge della sua ricerca e della sua missione: la mediazione tra fede e scienza. O, per meglio dire, il muoversi a suo agio in un campo come nell’altro, giacché – in questo rivelandosi un acuto precursore – per il "gesuita proibito" (così Giancarlo Vigorelli, nel 1963, intitolò un libro a lui dedicato) l’integrarsi reciproco, lungi da qualsiasi tensione e contraddizione, dell’una e dell’altra fu sempre un fatto limpido ed evidente.
 Addentrarsi nei misteri delle galassie oppure dei primordi dell’umanità rendeva sempre più chiara allo scienziato, prima ancora di consacrarsi sacerdote nel 1911, la presenza di Dio nella natura e nel cosmo, sin dai tempi della determinante "esperienza egiziana". Giovanissimo professore di fisica e chimica al collegio gesuita del Cairo, di fronte alle gloriose vestigia di una delle più antiche civiltà della storia, quella egizia, scriveva: «Nel mondo, è il Cristo che si completa... Come in un’estasi, mi sono sentito gettato in Dio da tutta la natura».
              Il complesso pensiero del sacerdote scienziato
Per padre Teilhard l’unica scienza possibile è quella che «aiuta a scoprire la crescita dell’universo». La materia organica ha un volto interno e uno esterno: la "fisi" e la "psiche", mentre l’intera vicenda cosmica è caratterizzata da un dinamismo irreversibile, il quale si esprime storicamente in due fasi fondamentali: la "cosmogenesi" e l’"antropogenesi". L’homo sapiens, emerso da un antropoide a lui molto vicino, rappresenta la grande svolta in quanto non solo sa, ma sa di sapere. L’uomo neolitico, sorto trentamila anni orsono, è capace di organizzare la sua vita, dispone di linguaggio e di mezzi tecnici. È il frutto di una evoluzione biologica e psicologica inarrestabile, irreversibile, teleologica, e da allora si può parlare di una "stoffa" oscuramente autocosciente della natura, di un crescente processo di "ominizzazione" della materia vivente.
Proprio in quanto "essere pensante", l’homo sapiens ha potuto pervenire al dominio su tutte le forze della natura. L’uomo è il punto di arrivo di tale processo evolutivo, peraltro già portatore di ulteriori sviluppi. In costante evoluzione, negli ultimi secoli a ritmi sempre più accelerati, è in particolare la coscienza dei singoli individui, al punto da avvolgere la terra come una "noosfera", tanto che Teilhard vede lo spirito destinato a staccarsi gradualmente dalla realtà, arrivando addirittura a liberare l’uomo dai limiti dello spazio e del tempo. Meta ultima di tale cammino non potrà che essere il "riassorbimento" dell’universo in Dio e la fine dell’avventura cosmica.
Tutto ciò era già presente nell’occulto pensiero dell’Alfa, il punto di partenza, il "fiat" iniziale. Tuttavia sono occorsi milioni di anni e l’avvento di Cristo affinché il processo si compisse secondo le leggi di natura, attraverso spietate selezioni. La natura è a suo modo divina, la vita va vissuta in spirito di gioiosa accettazione e ciascun individuo è chiamato ad aprirsi all’umanità tutta, interamente assorbita nel suo ultimo destino.
              «Nelle steppe dell’Asia non ho né pane, né vino, né altare...»
 Va da sé che un’esposizione così sommaria di un pensiero complesso può lasciare perplessi, tuttavia nel saggio Il fenomeno umano, una delle opere principali di Teilhard, essa è invece «dedotta con una ricchezza di osservazioni scientifiche tale da trascinare il più riluttante lettore», come ebbe a dire Eugenio Montale. Nel 1923 Teilhard fu sospeso dall’insegnamento di geologia all’Institut Catholique di Parigi in quanto, stando ai suoi superiori, la dottrina del peccato originale risultava pesantemente annacquata nella costruzione del filosofo scienziato. Tuttavia, pur acquistando un ruolo meno rilevante rispetto al magistero tradizionale (né avrebbe potuto essere diversamente, vista l’impostazione fondamentalmente ottimistica del suo pensiero), non si può certo dire che il male – nel quale, più che un limite connaturato all’essere umano, Teilhard vedeva piuttosto un limite da superare – sia del tutto assente dalla sua costruzione.
La censura subita – certo non l’unica contro cui si sarebbe scontrato nel corso della sua esistenza – doveva segnare comunque un punto di svolta nella sua vita. Da quel momento il gesuita divenne quasi un cittadino del mondo: la Cina, la Somalia, la Mongolia, il deserto del Gobi, l’India, l’isola di Giava, la Birmania, l’Africa del Sud e infine gli Stati Uniti. «Ancora una volta, Signore, nelle steppe dell’Asia non ho né pane né vino né altare, ma io mi eleverò sopra i simboli fino alla pura maestà del Reale e vi offrirò, io vostro sacerdote, sull’altare della terra intera, la fatica e la pena del mondo». Così scriveva, colpito dall’esperienza cinese, La messe sur le monde, uno dei due capolavori elaborati nell’immenso Paese asiatico (l’altro è Le milieu divin).
 Dopo tre anni di ricerche, alla fine del 1929, fra i monti di Chou Kou Tien, Teilhard e i ricercatori della sua équipe scoprirono il cranio del "sinantropo" adulto, ossia un preciso resto fossile di individui risalenti con tutta probabilità a trecentomila anni addietro. La scoperta fu una pietra miliare della conoscenza dell’evoluzione umana. Tuttavia Teilhard non si montò certo la testa: anzi lo preoccupava l’eventualità che l’indagine sulla preistoria fissasse l’attenzione sul passato, mentre per lui la priorità assoluta spettava invece all’evoluzione e alla trasformazione. Ritornato da una spedizione nel deserto del Gobi, scriveva alla cugina Marguerite, la confidente di tutta la vita: «Il Passato mi ha rivelato la costruzione dell’Avvenire... Attraverso le società che si spostano, il mondo non procede a caso: sotto l’universale agitazione degli esseri, qualcosa si fa, senza dubbio qualcosa di celeste, ma innanzitutto di temporale. Niente è perduto, per l’uomo, della fatica dell’uomo, quaggiù, nel mondo».
              Vertiginosi viaggi del pensiero e dell’anima
 Il mondo era per Teilhard «il suono di tutti i suoni, la luce di tutte le luci», per dirla ancora una volta con Nascimbeni, il quale aggiungeva ancora: «Intorno a questa parola, "mondo", alla sua smisurata grandezza, al suo fascino indistruttibile, egli compì vertiginosi viaggi del pensiero e dell’anima. Il mondo era la schiuma sonante delle cascate dello Zambesi, davanti alle quali sostò come in estasi; il mondo era nei popoli da conoscere, nelle lingue intraducibili, nelle pietre su cui è passata tutta la storia conosciuta e sconosciuta». Al mondo lo scienziato-filosofo dedicò parole che furono poi severamente riprese dall’Osservatore Romano. Carlo Bo replicò al quotidiano vaticano che il gesuita voleva in realtà mettere in luce "il carattere attivo del mondo", affermando ancora: «Quando si dice che l’impresa del gesuita è valsa a riportare il cristiano in un mondo che gli era sfuggito da secoli e a cui sembrava inadatto, non si commette esagerazione». Com’è noto, a preoccupare tanto i suoi superiori e i custodi dell’ortodossia era quella etichetta di "Darwin cattolico" (i libri dello scienziato inglese erano all’Indice) che ben presto fu appiccicata a padre Teilhard, il quale, al di là delle tante severe censure che colpirono la sua opera, libera di circolare praticamente soltanto grazie al Vaticano II, godette pur sempre di una certa protezione da parte dell’ordine.
              Con coraggio e naturalezza affrontò temi cruciali e attuali
 In effetti, Teilhard realizza sì una brillante sintesi tra dati della scienza e pensiero teologico tradizionale, offrendo un’originale lettura cristiana di quella chiave di volta della ricerca scientifica che (col senno di poi, oggi possiamo dire, inutilmente) tanto preoccupò gli uomini di Chiesa degli ultimi due secoli, ossia il concetto di "evoluzione". Tuttavia la sua grandezza consiste proprio nell’affrontare con coraggio e naturalezza temi cruciali quali la natura del cosmo, dell’evoluzione dell’uomo e dell’essenza dell’universo, restando sempre pienamente consapevole sia della costante presenza del Dio creatore nell’universo sia della centralità di Cristo nella storia.
 Oggi i rapporti tra scienza e fede sono assai più rilassati rispetto alla prima metà del secolo scorso. La scienza ormai pare insomma lontana anni luce dall’ateismo e materialismo di impostazione positivistica e ottocentesca: molte interessanti scoperte sembrano anzi indicare con insistenza sempre maggiore la strada verso il trascendente e il divino, tanto che addirittura già si comincia a parlare di "rivoluzione scientifica". Pensiamo soltanto alla fisica quantistica, la quale spiega tra l’altro come le particelle che compongono gli atomi risultino reciprocamente correllate, come parti di un tutto. L’atomo risulta quindi misterioso e la natura non può nemmeno considerarsi "materiale", ma piuttosto "energia", che si lascia raggiungere soltanto a tentoni. Di qui l’ipotesi, attendibile sul piano scientifico, dei "mondi paralleli".
 Per dirne ancora una, il diverso assortimento della specie, stando ai biologi più informati, pare essersi costituito non già a caso, bensì seguendo un ordine ricevuto da una potenza superiore. «Mi pare del tutto naturale chiamare "Dio" questa potenza», ha scritto di recente Jean Delumenau, docente di zoologia presso il College de France, il quale tanto ha approfondito queste ricerche. E ancora, «credo in Dio perché ha mappato il genoma e sono convinto che non possa essere opera umana», dichiarò nel 2000 J. Craig Venter, lo scienziato balzato ai vertici della fama mondiale in quanto padre della clamorosa scoperta.
 D’altra parte, un sondaggio condotto tra scienziati americani grosso modo nello stesso periodo rivelava che alla domanda "crede in Dio?" oltre l’ottanta per cento rispondeva: «Certo, sono uno scienziato». In tutta la grande evoluzione Teilhard ha giocato e gioca ancora un ruolo determinante.
(Vita Pastorale 1-4-2005)



 
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