venerdì 9 novembre 2012

  Fede e scienza in Teilhard de Chardin


 da : "Uomo di scienza. Uomo di fede " di Mario Gargantini

Nek confronto tra scienza moderna e l'esperienza religiosa non si può ignorare la figura e l'opera di Pierre Teilhard de Chardin. Il suo nome resta immortalato nei testi di paleontologia per le ricerche che portarono alla scoperta del
 Sinantropus, un ominide anteriore all'uomo di Neandertal; ma uno spazio tutto suo Teilhard lo conserva all'interno, o meglio agli inizi, di quel dibattito tra Chiesa e scienza nel '900 che sfocerà nelle posizioni ufficiali del Concilio Vaticano II.
In effetti la sua è stata una vicenda sofferta, segnata negli anni '60 da dure reazioni da parte della rivista «La Civiltà Cattolica» e culminata con un «Monitum» del Sant'Uffizio (1962) dove si accusavano le sue opere di contenere «ambiguità ed errori tali da offendere la dottrina cattolica».
Accuse parzialmente ridimensionate nel 1981, centenario della sua nascita, da una lettera del  Segretario di Stato Casaroli al cardinal Poupard, dove si riconoscono: «il fascino della  personalità», «la ricchezza del pensiero», «un innegabile fervore religioso» del celebre gesuita francese; come pure si osserva che «la varietà degli approcci utilizzati non ha mancato di sollevare difficoltà che motivano giustamente uno studio critico e sereno di quest'opera fuori del comune».
Una posizione personale
Molti biografi non mancano di notare come la sua sia stata una posizione fortemente personale, con soluzioni condizionate talvolta anche da motivi esistenziali.
La concezione mistica della realtà che tanto lo attraeva, come pure quel «bisogno insaziabile di organicità cosmica», sono già testimoniate nell'itinerario formativo del Teilhard giovane, che riservava i suoi favori a due letture come l’  
Ma un po' tutto il clima culturale francese influenzò il suo pensiero; dapprima attraverso la conoscenza diretta di personaggi come Blondel, Le Roy e lo stesso Bergson; poi nel contatto con i fermenti innovativi portati, nel dopoguerra, dai vari Mounier, Marcel, Sartre.
La sua preoccupazione fondamentale, quella di «una sana riconciliazione tra Dio e il Mondo», risente l'eco di un contesto culturale (ed ecclesiale) dove il rapporto fede/mondo giocava un ruolo dominante.
Un altro riferimento da non trascurare per comprendere lo sviluppo successivo delle riflessioni teilhardiane è dato dalla situazione creatasi con l'imporsi delle teorie darwiniste.
La loro divulgazione e un certo uso strumentalmente anticattolico  avevano avuto un impatto negativo sui rapporti tra scienza e fede che tendevano ad essere concepiti in modo dualistico, con un senso di divisione e contrapposizione; a tutto vantaggio della prima, intesa come l'unico modo, per l'uomo moderno, di accostare la natura. Teilhard non sopporta alcuna dicotomia tra le due sfere e costruisce un sistema di pensiero orientato al raggiungimento dell'unità a ogni livello.
Dal punto di vista della ricerca, bisogna anche sottolineare la specificità del suo contributo, evitando di attribuirgli pretese che non erano le sue. Egli infatti «non fu, di mestiere, un teologo», pur se molti suoi scritti presentano un notevole contenuto teologico. Non fu neppure né biologo né zoologo, pur avendo scritto testi come 
Fu anzitutto un geologo e conseguentemente paleontologo; e il suo contributo alla ricerca scientifica avvenne proprio su questo piano: ebbe infatti parte occasionale alla scoperta del Sinantropo ma i suoi studi sulla struttura geologica della zona del ritrovamento si rivelarono decisivi per la datazione del reperto e quindi per la ricostruzione di una più adeguata scala cronologica degli esseri umani.
Evolution creatrice di Bergson e il De imitatione Christi.Il gruppo zoologico umano.
La posizione scientifica
Sul piano scientifico Teilhard opera decisamente all'interno della categoria dell'evoluzione. Anche se, come ha notato V. Cappelletti. il suo evoluzionismo non ha molte consonanze con la cosiddetta «teoria sintetica» con la quale Darwin è stato reinterpretato nel 900. È più lamarckiano, come approccio; più vicino all'immagine di un'evoluzione unidirezionale,
finalistica, orientata, piuttosto che a quella legata alle variazioni casuali dei neodarwiniani. Fuù infatti sostenitore dell'ortogenesi, cioè di un processo evolutivo dotato di un preciso orientamento, di una «freccia evolutiva». In effetti egli ammette che l'evoluzione sia avanzata per tentativi, col contributo delle mutazioni e della selezione naturale; tuttavia è convinto che i due cardini della teoria darwinista non bastino a spiegare l'evidente orientamento. Secondo lui si deve parlare di una «casualità orientata»: espressione un po' paradossale che però potrebbe rappresentare un modo intelligente per lasciare un posto al mistero all'interno delle teorie scientifiche. Secondo F. Facchini, una posizione come quella teilhardiana potrebbe definirsi «finalismo reale», cioè un finalismo «ottenuto per causalità di ordine fisico o biologico ancora sconosciute, che determinano canali preferenziali entro cui agiscono le circostanze accidentali».
Un finalismo quindi più accettabile, in quanto lascia «aperta la questione dei meccanismi degli eventi evolutivi e soprattutto lascia gli interrogativi sulle cause ultime delle leggi fisiche e del processo evolutivo».
C'è solo da aggiungere, a livello scientifico, che una teoria di tipo finalistico può trovare conferme solo nella paleontologia; la quale però è una scienza molto delicata, dove prevale il carattere ipotetico più che quello dimostrativo.
La visione religiosa
Nel ricordo di Henri de Lubac, Teilhard appare come un grande religioso, un credente moltoù solido e un vero figlio della Chiesa Cattolica, entro la quale ha voluto infatti restare sino all'ultimo giorno della sua vita.
Non fu sempre in linea con l'insegnamento del magistero ma è stato sempre fedele ai dogmi, anche a quelli del peccato originale e dell'inferno. A proposito di quest'ultimo, ad esempio, ha trovato il modo di «spiegarlo» come una realtà che «per la sua stessa esistenza aggiunge al cosmo una gravita, un rilievo che, senza di esso non esisterebbero». Tutt'altro quindi che un semplicistico ottimismo di stampo naturalistico.
Come abbiamo sopra accennato, tutto il pensiero teilhardiano è dominato dalla tensione a un'unità cosmica e dalla preoccupazione di arrivare a Dio attraverso il mondo. Un mondo visto come ambiente divino ( Le Milieu Divin è una opera fondamentale), dove quel fenomeno straordinario che è l'uomo ( Le phenomene humain, altra grande opera) lavora per portare tutto  verso il compimento che è il Cristo totale. Si tratta di una visione grandiosa e affascinante, retta, per dirla con Wildiers, sulla tensione dialettica tra il Senso cosmico e il Senso cristico; dove tutta l'evoluzione porta l'universo a convergere verso il punto Omega, cioè Cristo stesso.
I motivi delle perplessità da parte dei teologi sono legati essenzialmente ai criteri di verifica delle sue affermazioni. Che cosa può fondare la cristicità dell'universo e la convergenza a Cristo? Nel pensiero teilhardiano pare quasi che tali realtà siano in qualche modo insite e rintracciabili nella fenomenologia e confermabili con il procedimento scientifico: mentre è solo sul metodo della fede e non sulla fenomenologia né sul metodo sperimentale che può basarsi una verifica  personale delle verità rivelate.
Anche la visione mistica, espressa particolarmente ne  L'Ambiente Divino si muove nella  direzione differente da quella della grande tradizione mistica cristiana. In questa, la natura non è che una delle possibili manifestazioni dello spirito e questo è potenza creatrice incondizionata, in  grado di fermentare qualsiasi sostanza in qualsiasi tempo.
In Teilhard invece sembra esserci una identificazione dello  spirito col divenire delle forme che incontriamo nella storia evolutiva dell'universo; come pure la potenza spirituale della materia è un «fermento che trasforma la natura ma non potrebbe privarsi della materia che la natura le offre». C'è quindi il rischio di qualche equivoco e riaffiora, come dice Cappelletti, un possibile naturalismo: «purificato da scorie edonistiche ma tuttavia consistente, come ogni altro, nell'impostazione del divenire all'essere, del fenomeno all'idea, del contingente all'assoluto».
Al di là di puntualizzazioni come queste (e altre più specifiche se ne potrebbero fare), la figura di Teilhard de Chardin resta per tutti una grande testimonianza di cristiano in azione.
Negli anni '50 le sue posizioni, pur se in modo conflittuale, hanno avuto un ruolo importante per far decantare il pensiero cristiano e favorire, come egli auspicava, «l'abbattimento della barriera che, da quattro secoli, non aveva smesso di salire fra Ragione e Fede».
Oggi siamo in un contesto abbastanza diverso: dominato da un diffuso materialismo ma anche colpito dalla crisi ecologica e pervaso da una rinnovata attenzione per l'ambiente. Di fronte ad esso sta una cristianità minata dal tarlo della secolarizzazione e timida nel proporre tutta la positività del suo annuncio. La testimonianza di Teilhard può aiutare a disegnare un tipo d'uomo credente e totalmente presente nel suo tempo: non uno che « ama la terra per goderne» ma per « renderla più pura » ; non uno che «aderisce al mondo» ma uno che «pre-aderisce a Dio» e con ciò trionfa sul mondo; non uno che ritiene l'uomo capace di «divinizzarsi chiudendosi in sé», sulla scia del misticismo orientale, ma uno che vede il massimo della persona-lizzazione nella adesione a Cristo.

 

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