lunedì 5 novembre 2012

                            Dimmi come vivi e ti dirò chi sei

CAMMINI DI SPERANZA PER    LIBERARE LA VITA

                          Nico Dal Molin, prete

Sulla rivista SE VUOI dedicata all'orientamento vocazionale dei giovani è apparsa  negli anni 1990-1992 una  serie di riflessioni di Don Nico Dal Molin e  che sono state ora raccolte nel volume: "Cammini di speranza per liberare la vita".  Vi riproponiamo le pagine dedicate alla riflessione su Pierre Teilhard de Chardin.
 
Per capire meglio come si pone a noi il problema della Speranza e perché spesso, nei suoi confron­ti, ci scopriamo esitanti, dubbiosi, carichi di incertezze e perplessità, vorrei quasi "interrogare" con voi quello che io ritengo uno fra i più grandi scrittori religiosi del nostro tempo, ma insieme anche scienziato dedito alla geologia e alla paleontologia: Pierre Teilhard De Chardin. E un ge­suita francese, vissuto tra il 1881 e il 1955, capito trop­po tardi nelle sue ardite concezioni spirituali, connesse a delle lucide introspezioni psicologiche ed esperienziali sul­la vita umana.
Dal 1926 al 1946 lavorò in Cina, dove era stato prati­camente esiliato, a Tiensin e a Pechino.
Vorrei chiedere a Teilhard, come se lui fosse qui, in u­na specie di dibattito immaginario che supera le leggi del tempo, se davvero gli atteggiamenti fondamentali della vi­ta di ognuno possano dirci qualcosa del suo modo di es­sere profondo. Credo che la sua risposta potrebbe essere più o meno questa.
 A colloquio con Teilhard
«Vedete, amici, noi potremmo immaginare un gruppo di escursionisti, che partono alla conquista di una vetta difficile. È un paragone che può calzare per persone gio­vani, magari amanti dell'avventura o di qualche cammina­ta in montagna. Proviamo però a passare in rassegna il nostro gruppo qualche ora dopo la partenza. A questo punto è molto probabile che la comitiva, che era partita insieme e con slancio, sia divisa ora in tre tronconi.
Alcuni rimpiangono di avere lasciato il Campo o l'al­bergo; lì si stava comodi, si poteva prendere il sole e ri­posarsi. La fatica e forse il pericolo della escursione sem­brano sproporzionate all'interesse della conquista di quel­la vetta a cui avevano mirato.
Altri non sono per nulla dispiaciuti di essersi messi in cammino; il sole risplende in un cielo terso e carico di az­zurro, il panorama è meraviglioso, l'aria che si respira è piena di ossigeno e dilata i polmoni, abituati come siamo all'ossido di carbonio delle nostre città... Ma a questo punto perché salire ancora, perché continuare a fare fati­ca quando tutto è così bello; ci si può godere la monta­gna dove si è, in mezzo ad un prato chiazzato di stelle al­pine o in pieno bosco odoroso di muschio e licheni. Così, appagati, si sdraiano sull'erba, aspettando che arrivi l'ora del picnic insieme.
È rimasto, infine, un gruppetto di veri amanti della montagna; i loro occhi non si staccano dalla vetta per la quale si sono messi in cammino e che hanno giurato a se stessi di conquistare, costi quello che costi... Pur vedendo gli altri fermarsi o ritornare indietro, loro stringono i denti e riprendono la salita...».
 Non c'è speranza per... “i nati stanchi”
Fin qui è quanto ha voluto dirci, con il suo esempio, Teilhard De Chardin.
Proviamo noi ora a scavare un po' di più per capire il messaggio e decodificarlo nella nostra vita.
Il primo troncone lo potremmo definire dei "nati stan­chi"... Sono quelli (e ahimé sono tanti), che non amano fare fatica, che cercano tutti i possibili comforts, che si la­mentano in continuazione di questo che non va, di quello che non li capisce, di come la vita si presenti difficile e dura... In loro c'è sempre una velata apatìa che li porta alla rassegnazione e al valutare gran parte della vita, se non l'esistenza stessa nella sua interezza, con un atteggia­mento di profondo pessimismo.
Hanno occhi scoraggiati e sfiduciati, il loro passo è stanco, il loro modo di vivere è sentito come uno scacco continuo.
Per questi individui, il solo "pensare" alla Speranza è una ...illusione e la loro vita diventa un camminare stra­scicato, perché si tirano dietro una pesante palla di piom­bo legata al piede: il loro pessimismo!
In fondo, il loro slogan potrebbe suonare così: « È me­glio essere MENO che essere PIO; anzi, il meglio di tutto sarebbe non essere per nulla».
Solo piacere... niente speranza
La seconda "trance" dei nostri escursionisti, forse la fet­ta più consistente, è formata da una categoria di tipi che possiamo definire, tranquillamente, dei "bontemponi".
Sono allegri, gioviali e in fondo a loro non interessa far fatica ma piuttosto divertirsi. Là dove si trova questa op­portunità ci si ferma, un po' come dei farfalloni che una volta trovato il buon nettare di un fiore si fermano a suc­chiarlo, gratificati, fino in fondo.
Sono i figli della nostra cultura dell'immediato, quelli che amano cogliere ...l'attimo fuggente e fermarsi a quel­lo che "qui e adesso", senza difficoltà, viene passato co­me il piacere della vita.
Per loro il motto potrebbe essere: "Riempiamoci del momento presente". Una riedizione per nulla originale del vecchio "carpe diem", esaltato dal poeta latino Ora­zio, che non sempre ci ha visti, o ci vede attualmente, be­nevoli e compiaciuti nei suoi confronti, sui banchi di scuo­la durante qualche traduzione di ...latino.
Sono quelli che sul futuro e per il futuro non scommet­tono nulla, non rischiano nulla. Sono quelli per cui la Speranza resta una gran bella parola, ma che li lascia in­differenti e assopiti nel loro benessere presente.
 Il coraggio dei "cuori ardenti"
Ci è rimasto l'ultimo gruppo, che non esiterei a defini­re il gruppo dei "coraggiosi", uomini e donne, giovani dal cuore ardente e tenace, per cui il vivere è una ricerca e u­na scoperta di valori preziosi; per essi la Speranza è un bene che vale lo sforzo di una dura salita, è una vetta che appaga pienamente la fatica fatta per raggiungerla.
Anzi, oserei dire che per essi la Speranza è la ricerca di un qualcosa di più, non in senso perfezionistico, ma nel riuscire a cogliere il loro punto di arrivo come il nuovo punto di partenza per la prossima vetta e quindi per una ulteriore scoperta. Non sono avventurieri, ma giovani in­namorati di "essere di più e meglio", sapendo che l'Esse­re che cercano è inesauribile nelle sue proposte e nelle sue risposte; che la Speranza che trovano è come un fo­colare di luce, di calore a cui è bello e anche possibile av­vicinarsi sempre maggiormente.
Qualcuno li deride, qualche altro li ritiene illusi o inge­nui, altri ancora li credono delle "teste matte" che non sanno capire il senso concreto della vita.
Si accomodino pure questi signori dal riso incredulo, come Sara, la moglie di Abramo, di fronte ai tre ospiti che le annunciavano la sua futura maternità, pur nella vecchiaia. Si accomodino... perché piano piano sarà il lo­ro riso a smorzarsi sulla bocca, quando vedranno che in quelli e da quelli che loro ritenevano ingenui, si prepara a sorgere la "terra di domani".
 
 

























































 
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